sabato 24 dicembre 2011

Indicazioni per la tesina del laboratorio di metodologia...

Per le studentesse e gli studenti del Laboratorio di metodologia del gioco e dell’animazione
Elenco qui le caratteristiche della tesina che sarà l’oggetto del colloquio d’esame:
1. La tesina ha come finalità quella di presentare una progettazione didattica in cui sia presente la dimensione ludica, in tal senso può costituire sia la formalizzazione di una esperienza di insegnamento già realizzata sia una attività ancora da sperimentare.
2. Per quanto riguarda la lunghezza: circa 20.000 battute spazi ed immagini inclusi (dieci pagine da 2.000 battute).
3. La struttura: a) una introduzione che mostri una adeguata consapevolezza teorica in relazione al rapporto tra dimensione ludica e didattica, b) una parte centrale che illustri il progetto, ed infine c) l’analisi di un videogioco.
4. Per quanto riguarda l’analisi di un videogioco sono reperibili nell’aula virtuale sia un elenco di giochi sia una scheda di analisi. L’elenco fornito è solo indicativo: possono essere analizzati altri giochi.
5. Si ricorda infine che oltre ad una versione cartacea da consegnare con congruo anticipo in segreteria didattica, la tesina va pubblicata su Scribd (http://www.scribd.com/) e l’indirizzo va segnalato in un commento a questo post.

Buon lavoro... ma prima i miei migliori auguri di buon Natale e felice anno nuovo!

Per essere ammessi all'esame del laboratorio di metodologia del gioco...

Per le studentesse e gli studenti del Laboratorio di metodologia del gioco e dell’animazione
Elenco qui le attività/giochi che considero indispensabili per essere ammessi all’esame finale. Ometto ovviamente alcune attività/giochi (come il Gioco della Vita di Duccio Demetrio o la realizzazione in coppia di ritratti fotografici digitali che potevano essere realizzati solo all’interno degli incontri del laboratorio).
1. Creazione di un proprio account su Twitter ed essere follower di Labgioco (http://twitter.com/labgioco).
2. Aver individuato una frase o un termine da associare alla parola gioco ed averla pubblicata sul proprio account di Twitter (@labgioco 1) (con le vostre associazioni è stata creata la nuvola visibile a quest’indirizzo: https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/NuvoleLoghiCollagesEMosaici?authkey=Gv1sRgCKmHkJW8mZXTNg#5682038878989996882).
3. Aver elaborato una nuova domanda per il gioco caccia al tesoro umano e averla pubblicata sul proprio account di Twitter usando l’hashtag #unimolfbg1.
4. Aver partecipato al brainstorming on line: con che frase iniziare una conversazione con uno sconosciuto? (@labgioco 3) (attività opzionale).
5. Aver elaborato un acrostico di UNIMOL pubblicandolo come commento a questa immagine su Flickr http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/6350492246/.
6. Aver realizzato un acrostico con il proprio nome/cognome e averlo pubblicato sul proprio account di Twitter usando l’hashtag #unimolfbg2.
7. Aver realizzato un mesostico con il proprio nome/cognome e averlo pubblicato sul proprio account di Twitter usando l’hashtag #unimolfbg3.
8. Aver realizzato uno pseudonimo anagrammando il proprio nome/cognome e averlo pubblicato sul proprio account di Twitter usando l’hashtag #unimolfbg4.
9. Aver realizzato il proprio monogramma e averlo pubblicato sul proprio account di Twitter usando l’hashtag #unimolfbg5. Tutti i monogrammi realizzati sono visibili all’indirizzo https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/MonogrammiLabGiocoNov2011?authkey=Gv1sRgCM73r86X6eP_bw.
10. Aver realizzato altri anagrammi partendo dalle indicazioni date in questo post: http://www.unanotaasettimana.blogspot.com/2011/04/anagrammi-1.html (attività opzionale).
11. Aver scritto e pubblicato una breve storia partendo dalle indicazioni date in questo post: http://www.unanotaasettimana.blogspot.com/2011/11/rodari-flickr-e-linventare-storie.html.
12. Aver realizzato il proprio autoritratto su carta. Gli autoritratti realizzati sono stati pubblicati qui: https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/AutoritrattiLabGiocoNov2011?authkey=Gv1sRgCJqkwJ6-88PyXA.
13. Aver realizzato il proprio avatar (le indicazioni per realizzarlo sono qui http://www.unanotaasettimana.blogspot.com/2011/12/avatar-e-servizi-on-line.html) e averlo pubblicato sul proprio account di Twitter usando l’hashtag #unimolfbg6. Gli avatar realizzati sono visibili qui: https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/AvatarLabGiocoDic2011?authkey=Gv1sRgCNvWxp7jy5L-pAE#. Aver sostituito nel proprio profilo Twitter l’immagine di default con un avatar.
14. Aver partecipato al gioco empatie digitali (qui le indicazioni: http://www.unanotaasettimana.blogspot.com/2011/12/empatie-digitali.html).
15. Aver scritto e pubblicato nel proprio profilo Twitter la propria biografia inviandone una copia usando l’hashtag #unimolfbg7.
16. Aver partecipato alla valutazione inviando le indicazioni richieste nei due tweet appositi (#unimolfbg8 e #unimolfbg9).
17. Aver indicato e argomentato la propria scelta per quanto riguarda l’avatar del profilo Twitter del Laboratorio (#unimolfbg10).

Natale 2011

Il piccolo presepio in una scatola di fiammeri donatomi tanti anni fa da un mio compagno di studi tornato dall'America latina...

lunedì 12 dicembre 2011

Empatie digitali

Per le studentesse e gli studenti del laboratorio di metodologia del gioco e dell'animazione
Anche questo è un post "di servizio", da riscrivere con maggiore accuratezza in futuro. Vi ricordo solo sommariamente quanto fatto a lezione e vi indico l'indirizzo che mi avevate richiesto.
Dopo avere realizzato autoritratti tanto in forma tradizionale quanto con strumenti digitali penso sia abbastanza chiaro come, per quanto abbiamo di esperimere la nostra identità tramite immagini, non ci sono immagini che ci soddisfino pienamente. Continuiamo però a relazionarci agli altri guardandoli in volto e traendo dal loro volto informazioni indispensabili. Per quanto l'empatia (e ho provato sia pure in modo approssimativo a spiegarvi cos'è) sia una modalità criticabile, rimane una risorsa ampiamente utilizzata. Da qui la mia proposta (riprendendo attività proposte da Staccioli in relazione alla ludobiografia): vi ho portato la riproduzione di vecchi ritratti di uomini, donne, bambini risalenti per lo più all'inizio del secolo scorso e vi ho chiesto di immedesimarvi empaticamente in quei volti e di scrivere una storia o di formulare una o più frasi in prima persona, come se vi foste completamente calati nella persona il cui ritratto fotografico sta davanti a voi. Abbiamo nel dopogioco raccolto e discusso i frutti di quanto fatto: la richiesta ulteriore è di documentare (magari riflettendo ancora) quanto abbiamo realizzato. Come concordato vi chiedo di inserire i vostri racconti/frasi come commenti ai ritratti che ho pubblicato on line su Flickr (sono ovviamente gli stessi, ritrovarli non dovrebbe essere difficile). Nel prossimo incontro riprenderemo il discorso...
Questo è l'indirizzo:

sabato 10 dicembre 2011

Immagini, identità e autoritratto

Una grande attenzione è stata data, e giustamente (basti pensare a quanto scritto da Duccio Demetrio), al rapporto tra formazione, identità e scrittura autobiografia, ma ho l’impressione che l’immagine sia all’interno di tali rapporti una risorsa almeno in parte inesplorata.
Interessante in tal senso quanto scrive Fabrizio Piccini, Ri-vedersi. Guida all’uso del ritratto fotografico per la scoperta e la costruzione di sé, Red Edizioni, Milano 2008 e della postfazione di Stefano Ferrari, Unità e molteplicità dell’Io nella dinamica dell’autoritratto, pp. 104-110.

Dalla Postfazione:
“nessuna immagine e nessun volto riesce a esprimere la complessità, o meglio la varietà del nostro essere” (p. 104).
“l’uomo, nonostante questa accertata dispersione dell’identità nella frammentazione dell’Io, aspira tuttavia a una sorta di unità che vorrebbe tradurre in un’immagine di sé sufficientemente univoca e rappresentativa . Un’immagine che, da una parte, gli sembra effettivamente conservare dentro di sé e che però, quando si manifesta visivamente, è sentita sempre come inadeguata , non riuscendo mai a corrispondere all’impressione (anche visiva) che il soggetto ha di se stesso” (p. 105).
“l’esigenza dell’autoritratto dovrebbe quindi essere quella di trovare, di volta in volta, un’immagine di sé abbastanza sintetica e abbastanza elastica nella sua specificità da essere in grado di rappresentarsi all’esterno nella ricchezza e polivalenza delle nostre aspirazioni: esercizio difficile e problematico, che passa per lo più attraverso una lunga serie di prove e che concretamente si traduce in diverse proposte di autoritratto” (p. 106).

mercoledì 7 dicembre 2011

Touring, interculturalità e gioco: un esperimento

Per gli studenti del laboratorio di metodologia del gioco
Riscriverò questo post in maniera adeguata: vi ho appena raccontato a voce l'idea del gioco che vi propongo, sugli stereotipi legati all'identità regionale.
Inseriremo con i commenti le domande per il gruppo a e per il gruppo b. Rispondete utilizzando la modalità di inserimento anonimo dei commenti e firmando il commento con gruppo a o gruppo b.
Se tutto va bene dovrebbe essere abbastanza divertente!
P.S. I vostri commenti non appariranno subito: verranno moderati in modo che possiate leggere l'altro solo dopo che avrete risposto....

domenica 4 dicembre 2011

Avatar e servizi on line

Per gli studenti del laboratorio di metodologia del gioco e dell'animazione


Come promesso vi segnalo, tra i tanti esistenti, due indirizzi per la creazione di avatar bidimensionali.


Il primo è Faceyourmanga: è gratuito ed offre una buone varietà di opzioni per creare il proprio avatar. Il tratto, spesso e da fumetto, è perfetto per creare icone per i propri profili on line. Questo è l'indirizzo: http://faceyourmanga.com/. Ho visto con piacere che già molti di voi l'hanno utilizzato.


Il secondo è Doppelme: anche in questo caso è un servizio gratuito. Iscrivendosi si ottiene un maggior numero di opzioni. Il tratto è più sottile e gli avatar risultano essere in qualche modo più geometrici. Questo è l'indirizzo: http://www.doppelme.com/.


Divertitevi!

domenica 27 novembre 2011

Vi chiedo di raccontare una storia...

Per gli studenti di Didattica


Come concordato a lezione, provo a scrivere quanto avevo promesso. L'idea di fondo, la ripeto, è molto semplice. Nella vostra storia di studenti avete avuto modo di incontrare e lavorare con una molteplicità di maestre/i, professoresse e professori. Sono personalmente convinto, ma potrei argomentarlo, che avete elaborato a partire dalle vostre esperienze, in modo più o meno consapevole, una visione dell'insegnamento e che tale visione sia, come criterio guida per la vostra futura professione, molto più efficace ed incisiva di certe forme di conoscenza delle teorie/metodologie didattiche. Allora il primo passo da fare potrebbe essere questo: vi va di raccontare, ripensando alle vostre esperienze di studenti, di quell'insegnante (non importa se l'incontro è avvenuto alle elementari o alle superiori) di cui conservate ancora oggi un ricordo positivo? Perchè, tra i tanti conosciuti, ricordate proprio lui? Come insegnava?


Attendo le vostre storie...

sabato 26 novembre 2011

Rodari, Flickr e l'inventare storie...

Per le studentesse e gli studenti del laboratorio di metodologia del gioco




Nell'ultimo incontro del laboratorio, ripartendo da ciò che Rodari ha chiamato il binomio fantastico (due parole scelte a caso per poi inventare una storia che le colleghi), abbiamo concordato di sperimentarne una versione basata sulle immagini digitali: ciscuno di voi ha scelto una parola, l'ha scritta su un foglio, e, tra tutti i fogli, ne sono stati sorteggiati due. Le parole uscite, lenti e bussola, sono state usate come chiave di ricerca per due immagini in Flickr.










Troverò un premio (non so ancora quale ma lo troverò) per chi inventerà le storie più originali. Ovviamente la lunghezza non conta, anzi ...





Non auguro buon lavoro ma buon divertimento (almeno spero...)!

lunedì 21 novembre 2011

Ecco le foto!

Come promesso pubblico le foto del primo incontro con studenti del primo e secondo anno. Siete tanti, ma grazie a Carla Cenci una prima soluzione è stata trovata....
A presto!

http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/sets/72157628078758137/

domenica 20 novembre 2011

Edgar Morin

"C'è una inadeguatezza sempre più ampia, profonda e grave tra i nostri saperi disgiunti, frazionati, suddivisi in discipline da un parte, e realtà o problemi sempre più polidisciplinari, trasversali, multidimensionali, transnazionali, globali, planetari dall'altra" (Edgar Morin, La testa ben fatta, Cortina, Milano 2000, p. 5).

Le tesi di Morin sono ormai note e recepite, ma lo scarto con le pratiche rimane forte...

Il 17 novembre scorso si è svolta la cerimonia di consegna della laurea honoris causa da parte dell'Università di Macerata a Edgar Morin. Nonostante l'età, Morin ha tenuto una splendida lezione dottorale in italiano. Spero che video, immagini e testo siano resi il più presto possibile disponibili.

domenica 13 novembre 2011

Rodari e il learning by doing...

Spero, presto o tardi, di poter scrivere un saggio sull'importanza del tirocinio nella formazione degli insegnanti. Intanto ho trovato l'esergo...


"Perché si deve studiare? Per conoscere il mondo e per farlo diventare più bello e più buono. Attenta, però: non si studia soltanto sui libri. Mi ricordo di un Topo che viveva in una biblioteca e amava tanto l'istruzione che si mangiava due libri al giorno. Una volta trovò in un libro l'immagine del gatto e subito la divorò. Mentre digeriva tranquillamente, convinto di aver distrutto il suo nemico, il Gatto in carne ed ossa gli saltò addosso e ne fece due bocconi. Tra un boccone e l'altro, però, si fermò a dire: -Topolino mio, bisogna studiare anche dal vero!"

Gianni Rodari, Il Libro dei perchè, Einaudi Ragazzi, San Dorlingo della Valle (Trieste), 2010.

giovedì 3 novembre 2011

Indicazioni per Twitter

Per il laboratorio di metodologia del gioco e dell'animazione
Come promesso scrivo qui le indicazioni per attivare un account su Twitter e partecipare alle attività del laboratorio: tutto è molto semplice e spero che la prossima volta si possa abbinare l'uso di twitter e l'attività di brainstorming...
1. Creare un account su Twitter
Basta andare all'indirizzo http://twitter.com/, e iscriversi inserendo nome e cognome, mail e password...
2. Attivare l'uso del cellulare
Una volta creato l'account, entrati in Twitter, bisogna cliccare sulla scritta "Configura le notifiche sul cellulare" e seguire le istruzioni. Terminata la procedura vi chiedo di inviare con il cellulare un messaggio il cui testo inizi con @labgioco e inviarlo al numero 4880804.
3. Seguire il laboratorio
Per ricevere i tweet, cioè i messaggi, del Laboratorio, dovete andare su "chi seguire", scrivere labgioco, cliccare su "ricerca" e poi cliccare su "segui".
Vi assicuro che non è difficile! Se ci fossero problemi inviatemi una mail...

domenica 23 ottobre 2011

Per F.C.: Komagata e altro...

Gentilissima F.C., continuo a pensare alla sua tesi. La proposta che vorrei farle è ovviamente lavorare sul libro pop up e sui suoi utilizzi didattici. Le avevo già indicato un possibile titolo. Si tratta di raccogliere materiale sul libro pop up, la sua storia individuando possibili categorizzazioni. Le segnalo il bel libro di Alessandra Anichini (Il testo digitale, Apogeo, Milano 2010), dove alcune pagine (122-24) sono proprio dedicate alla storia del libro pop-up. Un altro aspetto da trattare potrebbe essere quello di esaminare alcuni artisti che hanno realizzato libri pop up. Un cenno andrà fatto anche a Munari che, per quanto non abbia realizzato libri pop up, ha lavorato in maniera esemplare sulla dimensione tattile del libro. Un ulteriore riferimento andrebbe fatto ad un artista considerato il continuatore di Munari: Katsumi Komagata. Le segnalo in primo luogo alcuni link su Komagata:
http://www.comieco.org/allegati_lab/DocAllegati/K_Komagata.pdf (una breve presentazione in lingua italiana);
http://www.one-stroke.co.jp/ (è il sito di Komagata, in lingua giapponese, ma utile per avere il quadro di tutto ciò che ha fatto);
http://troisourses.online.fr/komagata2.html (in francese, anche in questo caso utile per conoscere la sua produzione).
I libri di Komagata non sono di facile reperibilità, ma non si preoccupi, ho io quanto serve. Le riporto qui sotto la bibliografia di Komagata, per come sono riuscito a ricostruirla, l’asterisco tra parentesi quadre sta indicare che ne posseggo una copia…

Bibliografia di Katsumi Komagata (ripresa e sistemata dai siti sopra segnalati)

Little Eyes No 1: First Look (beginning for babies)1990, published by Kaisei-Sha, Tokyo.
Little Eyes No 2: Meet Colors (second step for babies)1990, published by Kaisei-Sha, Tokyo.
Little Eyes No 3: Play with Colors (advanced for babies)1990, published by Kaisei-Sha, Tokyo.
Little Eyes No 4: One for Many (learning for children)1991, published by Kaisei-Sha, Tokyo [*].
Little Eyes No 5: 1 to 10 (learning for children)1991, published by Kaisei-Sha, Tokyo [*].
Little Eyes No 6: What Color? (learning for children)1991, published by Kaisei-Sha, Tokyo.
Little Eyes No 7: The Animals (fun for children)1992, published by Kaisei-Sha, Tokyo.
Little Eyes No 8: Friends in Nature (fun for children)1992, published by Kaisei-Sha, Tokyo.
Little Eyes No 9: Walk & Look (fun for children)1992, published by Kaisei-Sha, Tokyo.
Little Eyes No 10: Go Around (fun for children)1992, published by Kaisei-Sha, Tokyo.
Blue To Blue, 11 pages with additional die-cut shapes, dimensions: 24.5 x 19cm, Japanese text, published 1994, reprinted 2005.
Yellow To Red, 12 pages with additional die-cut shapes,dimensions: 24.5 x 19cm, Japanese text published 1994, reprinted 2005.
Green To Green, 11 pages with additional die-cut shapes, dimensions: 24.5 x 19cm, Japanese text published in 1994, reprinted in 2002.
I'm Gonna Be Born, 18 pages with additional die-cut shapes, dimensions: 21 x 21.2 cm, in Japanese, published in 1995, reprinted in 2004.
Sea Is Blue When Sky Is Blue, dimensions: 11 x 11 cm, in Japanese, published in 1995, reprinted in 2005.
Tears, 16 pages with a die-cut tear on each page, dimensions: 25 x 15.5 cm, in Japanese, published in 2000, reprinted in 2004.
Pacu Pacu, 16 pages with die-cut shapes, dimensions: 24.8 x 15.6 cm, in Japanese, published in 2000, reprinted in 2005.
Petit bout, Édition One Stroke, 2000, épuisé, Format : 25 X 15 cm. Un morceau de feuille de papier rouge découvre l'ivresse de l'envol et le fait découvrir à ses amis.
Found It!, 30 pages of semi-transparent paper, dimensions: 16 x 16 cm, published in 2002, reprinted in 2005.
Folds and Planes, 14 thick folded pages with die-cut and folded shapes, 22.4 x 30.5 cm, printed and Braille text on first and last page, in Japanese with English translation, published in 2003 by Les Doigts Qui Revent/Les Trois Ourses/One Stroke, printed in Japan, ISBN 2-911782-39-9 [è un libro tattile] [*].
Sound Carried By The Wind, 12 pages with additional die-cut shapes, dimensions: 24.5 x 19 cm, Japanese text, published in 2004 [*].
Where Stars Rest, 9 pages with additional die-cut shapes, dimensions: 24.5 x 19 cm, in Japanese, published in 2004. A book about dazzling stars, exploring different shades and textures of white paper. This book was commissioned by the town of Grenoble (France) as a gift to each baby born there in 2004.
Leaves, 19 pages interleaved with die-cut textured paper, 24 x 25.5 cm, printed and Braille text in English, published in 2004 byEditions du Centre Pompidou/Les Doigts Qui Revent/Les Trois Ourses/ One Strokeprinted in JapanISBN 2-84426-254-6.
A Cloud, 13 pages, with die-cut cloud shapes, dimensions: 25 x 31 cm, in Japanese and English published in 2007 [*].
Little Tree, 15 pages of coloured and textured card, pop-ups on every page, dimensions: 21 x 26 cm, in Japanese and English, published in 2008 [è un bellissimo libro pop-up!] [*].
Qui un video sul libro:
http://www.lefiguredeilibri.com/2011/01/31/little-tree-di-katsumi-komagata/ .
Where Stars Rest, new edition (2008), Design as above, but only using one type of paper instead of various textures. The text this time is printed in Japanese and English. Although less fine in appearance, the book is easier to read this way (if meant to be shared with children).

lunedì 17 ottobre 2011

Ale Gymnasium: un esempio per la progettazione degli spazi scolastici

Nell’ambito del progetto “Education of the Future” ho avuto l’occasione di visitare la scuola svedese promotrice del progetto: il Gymnasium di Ale, una piccola località nella Svezia meridionale. Gran bella scuola: già guardandola dall’esterno si nota la differenza con le tante scuole a forma di parallelepipedo che mi capita di vedere. Come mi hanno spiegato il tetto è stato volutamente pensato come le ali di una farfalla (http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/6249965274/in/set-72157627781434105/): la lunga striscia viola nel piazzale antistante vuole rappresentare in forma simbolica un bruco. Per chi entra nella scuola il messaggio è chiaro. Appena si entra sulla sinistra una biblioteca (http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/6249437935/in/set-72157627781434105) destinata non solo alla scuola ma a tutta la cittadinanza come il teatro collocato a destra dell’ingresso. La logica progettuale è interessante: la scuola non è un’entità separata, ma i suoi spazi e le sue attività si integrano con quelli della città. La scuola è concepita come una piazza coperta da cui accedere, nell’intero arco della giornata, ad una serie di spazi/servizi: aule, palestre, laboratori …. Ecco quindi la sala docenti con un invidiabile angolo cucina (http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/6249968394/in/set-72157627781434105), il servizio mensa, spazi attrezzati con tavolini, studi per i docenti (http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/6249439879/in/set-72157627781434105), armadietti per gli studenti ((http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/6249440755/in/set-72157627781434105), fino alle indicazioni in braille sulle porte dei servizi…. Questa è anche l’occasione per ringraziare i colleghi svedesi per la splendida ospitalità!

A summary for my Swedish friends


For the project "Education of the Future," I had the opportunity to visit the school leader of the project: the Gymnasium of Ale, a town in southern Sweden. It is a beautiful school : in particular is very interesting organization of the spaces that were designed to be used by both the school and by the Ale Municipality. The link between school and territory is very strong, and it is significant also the continued use of space during the whole day. Congratulations! and tack så mycket for your wonderful hospitality!


Filippo Bruni

domenica 16 ottobre 2011

Tra Oriente e Occidente: il giardino della Fondazione Querini Stampalia a Venezia

Sono grato ai miei due colleghi, appassionati esperti tanto di arte quanto di Venezia, per avermi consigliato di visitare il giardino della Fondazione Querini Stampalia. Approfittando di qualche ora libera tra aereo e treno, ho avuto modo di visitare questo piccolo ma squisito giardino realizzato da Carlo Scarpa.
Davvero un piccolo giardino dove si equilibrano una molteplicità di elementi teoricamente contrapposti. Oriente e occidente: sembra un giardino zen riletto alla luce della cultura occidentale (sarei curioso, da dilettante in materia, di conoscere i rapporti tra Scarpa e il Giappone). Acqua e terra: due piccole vasche che in qualche modo incorniciano il piccolo prato. Antico e moderno: la vera di pozzo in candida pietra ad un estremo del giardino contrapposta al cemento del lato opposto. Curve e linee rette: la rotondità della vera di pozzo e di alcuni particolari del giardino contrapposti alla alle forme squadrate delle vasche.
Qualche foto:
http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/sets/72157627779469065/

domenica 2 ottobre 2011

Una iniziativa: progetto SIMOLA e mobile learning

Nell’ambito del progetto Europeo SIMOLA è stata promossa una Tavola rotonda su “Tecnologie e didattica”. La data è quella di mercoledì 5 ottobre 2011, alle ore 16, presso l'Università degli Studi del Molise, Biblioteca di Ateneo, sala Enrico Fermi, Viale Manzoni, Campobasso. Questo è il programma:

ore 16.00 Saluti
Giovanni Cannata, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi del Molise; Giuliana Petta, Dirigente Ambito Territoriale Campobasso; Alberto Barausse, Direttore del Centro Linguistico di Ateneo, Università degli Studi del Molise


ore 16.30 Giuliana Fiorentino, Università del Molise,Incremento lessicale e mobile learning: prospettive teoriche e applicative (progetto SIMOLA)
ore 17.00 Annamaria Cacchione, Università del Molise, Presentazione del software LingoBee, Progetto SIMOLA
ore 17.30 Filippo Bruni, Università del Molise, Tecnologie nella didattica e mobile learning
ore 18.00 Oronza Perniola, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Apprendimento linguistico e TIC nelle scuole del Molise
ore 18.30 Marco Di Paolo, Ufficio Scolastico Regionale Molise, I progetti ministeriali e molisani in ambito di nuove tecnologie
ore 19.00 Conclusioni

lunedì 26 settembre 2011

Empatia e social network

Laura Boella, Empatia, forza preziosa per una società a rischio, in «Vita e Pensiero», XCIV, 2001, n. 4, pp. 119-127

Articolo breve ma interessante: partendo da una definizione dell’empatia - “dispositivo psicologico, arrivato a pieno sviluppo nell’epoca contemporanea, ove dominano l’individualismo e una concezione sofisticata del sé, per rinnovare legami e vincoli partecipativi ogni volta che la specie umana dimentica che l’energia serve per comunicare ma, se la si usa a fini di accumulazione e di sfruttamento, essa distrugge le basi stesse della comunicazione della partecipazione” (p.120) – Boella instaura un legame, che sarebbe da indagare ulteriormente, con i social network: “C’è un altro fenomeno contemporaneo che mette all’ordine del giorno l’empatia: l’estensione ormai planetaria della rete e la conseguente condivisione di informazioni e di spazi sociali come YouTube, Wikipedia, Facebook, Twitter” (p. 122). L’ulteriore sviluppo è dato dalla dimensione educativa: “la scienza dell’empatia ci fa capire quanto sia grave la mancanza quasi completa di un’educazione all’empatia, in famiglia e nelle scuole, così come la sua ignoranza nei campi oggi più a rischio: l’economia e la politica, dove, nella migliore delle ipotesi, viene considerata un supplemento d’anima di cui sono specialiste le donne multitasking, peraltro scarsamente rappresentate” (p. 126).
Pur tenendo ben presenti le obiezioni presentate all’empatia (si veda ad esempio quanto ha scritto Flavia Monceri), una prospettiva da sviluppare potrebbe essere quella di creare esercizi per educare all’empatia, ricorrendo magari in chiave ludica (le ludobiografie?), a risorse digitali e ai social networking e in una dimensione interculturale…

domenica 18 settembre 2011

Per G. F. - sul Mobile Learning

Cara Giuliana, vista l'iniziativa del prossimo 5 ottobre, ho iniziato a raccogliere materiali sul Mobile Learning. Ecco i primi appunti:




Giovanni Bonaiuti, Maria Ranieri, Pierfranco Ravotto (a cura), Ensemble. Mobile learning per promuovere l’inclusione sociale, disponibile on line all’indirizzo:



http://www.scribd.com/doc/45254377/Ensemble-Mobile-learning-per-promuovere-l-inclusione-sociale. Si tratta dell’opuscolo che presenta l’omonimo progetto (http://www.ensembleproject.eu/) finanziato dalla comunità europea. La direzione scientifica è di Antonio Calvani. Interessante la bibliografia (pp. 62-64).

Daniela Brancati, Anna M. Ajello, Pier Cesare Rivoltella, Il guinzaglio elettronico, Donzelli, Roma 2009.

Elizabeth Hartnell-Young, Making the Connections: Theory and practice of mobile learning in schools, in Pearce, J. & Norman, A. (Eds.) Proceedings of mLearn international conference. Melbourne, The University of Melbourne, 2007, pp. 86-95, disponibile on line all’indirizzo:



http://repository.unimelb.edu.au/pid/61794.

Elizabeth Hartnell-Young, Nadja Heym N., How mobile phones help learning in secondary schools, 2008, disponibile on line all’indirizzo:



http://www.lsri.nottingham.ac.uk/ehy/LSRIfinalreport.pdf.

Elizabeth Hartnell-Young, Frank Vetere, Lifeblog: a new concept in mobile learning?, IEEE Wireless and Mobile Technologies in Education. Tokushima, Japan, November 2005, abstract disponibile on line all’indirizzo:



http://dblp.uni-trier.de/db/conf/wmte/wmte2005.html#Hartnell-YoungV05.

Pier Cesare Rivoltella, Simona Ferrari, A scuola con i media digitali. Problemi, didattiche, strumenti, Vita e Pensiero, Milano 2010, pp.18-20 e 91-94.

Pier Cesare Rivoltella, Simona Ferrari, Alesandra Carenzio, “Puoi parlare?” Gli adolescenti al tempo del cellulare, CREMIT, disponibile on line all’indirizzo:



domenica 11 settembre 2011

Fumaroli su scuola, università e immagini

Bell'articolino di Fumaroli su La Repubblica di ieri: la sfida che la scuola e l'università hanno di fronte è radicale. La scuola e l'università sono considerate inutili, o, al più servono "a procurare un lavoro, non a formare uno spirito libero e critico, a educare un gusto, a risvegliare delle doti". Pur rimanendo discutibili alcune affermazioni che contrappongono la scuola "arcaica" all'intelligenza artificiale e ai videogiochi (su questi temi da un personaggio come Fumaroli mi aspetterei una riflessione più sostanziosa e lontana da banalità...), è fondamentale la strategia indicata: contro i nuovi barbari (quelli delle logiche esclusivamente commerciali, dei videogiochi, dell'intelligenza artificiale, delle immagini) vanno usati gli stessi strumenti: "Dobbiamo ritorcere contro i barbari le loro stesse armi. Hanno conquistato l'impero delle immagini? Dobbiamo contrapporgli i regni dell'immagine! A mio parere sarà intorno alla storia dell'arte, capace di unire tutte le scienze umanistiche, che dovrà emergere questa paideia novantica di cui oggi sentiamo tanto crudelmente la mancanza".

Questo è il link all'articolo:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/09/10/la-buona-educazione-creiamo-un-regno-delle.html.

domenica 4 settembre 2011

Riletture estive: Schön, università e pratiche

"Quando ritornai a insegnare al MIT, nei primi anni Settanta, lo feci con consapevole ambivalenza. Diffidavo dell'implicita pretesa dell'università di stabilire la conoscenza scientifica sistematica della quale la pratica competente costituirebbe l'applicazione. E diffidavo, in uguale misura, della distanza dell'università dal fertile disordine della pratica"


Donald A. Schön, Introduzione all'edizione italiana, in Donald A. Schön, Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari 1993, p. 11

domenica 28 agosto 2011

Un limite ed un rischio dell'immagine (fotografica)

“Malgrado l’educazione estetica che abbiamo ricevuto, il nostro rapporto con la fotografia è più grossolano e affonda nell’indistinto dell’esperienza: tende a privilegiare come valore il contenuto, di più, inclina a confondere l’oggetto e la sua rappresentazione, scivolando inavvertitamente nella mentalità magica del cacciatore paleolitico. La fotografia ci fa regredire a uno stadio in cui l’immagine si sottrae al controllo del pensiero razionale”

Bollati, Giulio, Note su fotografia e storia, in Carlo Bertelli e Giulio Bollati, Storia d’Italia. Annali 2. L’immagine fotografica 1845-1945. Tomo primo, Einaudi, Torino 1979, p. 8.

sabato 20 agosto 2011

Riletture estive: Silesius

Il linguaggio dei mistici mi ha sempre affascinato e confesso di non saper argomentare in modo adeguato i motivi di tale fascino: appena avrò tempo vorrei leggere in modo sistematico gli scritti di Michel de Certeau e di Giovanni Pozzi. Sono convinto, ma anche qui non saprei argomentare, dell’esistenza di un filo che lega mistica e almeno alcuni aspetti del web. Certamente del linguaggio dei mistici colpisce il gusto per le affermazioni estreme, inusuali, paradossali, inconciliabili con il vivere quotidiano. Verrebbe quasi da dire insensate se non facessero in qualche modo da contrappeso a garrulità e narcisismo oggi, ma anche ieri, non certo rari. Ho finito di rileggere di Angelus Silesius Il pellegrino cherubico (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1989). Tra i tanti aforismi ne riporto alcuni:

“Stringimi quanto vuoi con mille ceppi, Sarò pur sempre libero e senza legami” (p. [151])
“La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce, A se stessa non bada, che tu la guardi non chiede” (p. [209])
“Nulla avere, potere e essere, è questa la mia gloria” (p.[299])
“Fuggo certo la folla, ma non son mai solo” (p. [387])

Sarei tentato di commentarli, ma li rovinerei…

domenica 14 agosto 2011

Riletture estive: Calvino, pensare per immagini e pedagogia dell'immaginazione

"Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall'allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini. Penso a una possibile pedagogia dell'immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d'altra parte lasciarla cadere in un confuso, labile fantasticare, ma permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile, autosufficiente, "icastica""


Italo Calvino, Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano 1988, p. 92

sabato 6 agosto 2011

Antonio Calvani sull'uso didattico delle immagini

Appunti da Antonio Calvani, Principi dell’istruzione e strategie per insegnare. Criteri per una didattica efficace, Carocci, Roma 2011, cap. 3 Come integrare testo, immagine, audio e video


- Sull’integrazione tra testo scritto e testo orale (pp. 67-74).


- Importanza didattica dell’immagine: “La ricerca, in conformità al senso comune – un’immagine vale più di 100 parole – ha anche confermato che l’uso di diagrammi e di schemi, quando chiari ed essenziali, pertinenti e ben selezionati, può rilevarsi di grande utilità” (p. 74).


- Settori maggiormente promettenti sull’uso delle immagini (es. performance aids) e rischi di un uso scorretto delle immagini (pp. 74-75) e limiti dell’immagine dinamica (p. 80).


- I principi di Mayer (principio di multimedialità, principio di contiguità temporale/spaziale, principio di coerenza, principio di modalità, principio di ridondanza) (pp. 75-76).


- Le funzioni individuate da Clark e Lyons (funzioni comunicative: decorativa, rappresentativa, mnemonica, organizzativa, relazionale, trasformativa, interpretativa; funzioni psicologiche: supporta l’attenzione, attiva preconoscenza, minimizza il carico cognitivo, aiuta a costruire modelli mentali, supporta il trasferimento di insegnamento, supporta la motivazione) (pp. 76-79).


- Rapporto tra testo scritto, immagine ed audio (pp. 80-83).


- Riferimenti: Clark R. C., Lyons C., Graphics for Learning: Proven Guidelines for Planning, Designing, and Evaluating Visuals in Training Materials, Pfeiffer, San Francisco 2004; Mayer R., Multimedia Learning, Cambridge University Press, Cambridge 2001.


Qui le slide preparate per il corso: http://www.slideshare.net/filoan/uso-didattico-delle-immagini-8788813

domenica 31 luglio 2011

Derrick de Kerckhove su Marshall McLuhan

Sono trascorsi cento anni dalla nascita di McLuhan… mi è capitato di vedere un bel video (http://www.scuoladipolitica.it/web/magazine.aspx?did=544) della presentazione di una antologia degli scritti di McLuhan (Aforismi e profezie, a cura di Marco Pigliacampo, Armando, Roma 2011). L’intervento di de Kerckhove (da 42.11 a 1.03.12 dell’ora e mezza complessiva di video) è stato brillante: McLuhan tra Nietzsche e Pascal, passando per Harry Potter e l’oroscopo come ipertesto….
Tra i libri di casa ho ripreso in mano di Marshall McLuhan e Quentin Fiore, Il Medium è il massaggio. Un inventario di effetti (Feltrinelli, Milano 1968, l’originale è dell’anno precedente). Bel libretto – ho visto che è stato ristampato da Corraini – anche dal punto di vista della grafica…Davvero tante le intuizioni: la scuola (con la differenza tra l’aula scolastica e il nuovo ambiente creato dagli strumenti di comunicazione, p. 18), la televisione e lo schermo (p. 125), l’elettricità come caratteristica del mondo orientale (p. 145), la narrazione: con la televisione “non c’è tempo per la forma narrativa, presa a prestito dalla precedente tecnologia della stampa. Si deve abbandonare il filo narrativo. Fino a tempi recentissimi i “caroselli” venivano considerati semplicemente come una forma imbastardita, come volgare arte popolaresca. E adesso stanno influenzando la letteratura contemporanea” (p. 126).

venerdì 22 luglio 2011

Immagini ed avatar. Una nota su Per una genealogia del virtuale. Dallo specchio a facebook di Maria Maddalena Mapelli

Il tema delle immagini è uno dei temi su cui credo valga la pena lavorare. Maria Maddalena Mapelli, nel suo testo Per una genealogia del virtuale. Dallo specchio a facebook (Mimesis, Milano-Udine 2010) affronta il tema partendo da un approccio filosofico centrato sul tema dello specchio come dispositivo (piuttosto che come tecnologia) ricostruendone lo sviluppo da Platone al Rinascimento (con particolare attenzione al pensiero di Giordano Bruno). Nella prospettiva che mi interessa (quella dell’uso didattico delle immagini) è centrale l’idea di uno specchio (e delle facoltà umane) che si pone all’estremo opposto di una ricezione passiva. In tal senso sono interessanti, oltre le considerazioni sui poteri dell’immagine in quanto tale (pp. 31-32), il legame tra immagine ed identità (p. 63), l’idea di riflessione che va, come in Giordano Bruno (p. 154), intesa non come riflesso meccanico ma come proiezione che rende visibile, intermini cognitivi, nuove forme. I risultati dell’indagine sulla concezione rinascimentale del dispositivo specchio vengono accostati alla dimensione digitale con l’esame della community di blogger Ibridamenti, dell’account di Facebook di Aldo Nove e del sito di Wu Ming. Anche qui, nella prospettiva in cui sto lavorando, quello che mi interessa è, in termini formativi, il rapporto tra avatar e costruzione dell’identità. Se un processo formativo è efficace nella misura in cui contribuisce alla costruzione dell’identità, la scelta dell’immagine del proprio avatar in un blog o in un social network non è un elemento secondario. Le tipologie di avatar (foto di sé, foto di parti di sé, foto di altro) e di nick (mappa a p. 178) potrebbero essere riprese come strumento di analisi nella prospettiva del metodo autobiografico o della gestione di sé all’interno dei social network (mi vengono in mente le osservazioni di Riva…). Come sarebbe ugualmente interessante, riprendendo la narrazione dell’esperimento del blogger utente anonimo (less-avatar) in Ibridamenti (pp.181-189), cogliere le analogie con metodologie di gestione del lavoro di gruppo in presenza (tecniche come quella appunto del rispecchiamento, il ruolo dell’osservatore…): per dirla con Bolter e Grusin c’è una rimediazione tra metodologie in presenza e on line. Capire la differenza ed i vantaggi delle trasposizioni digitali di strumenti e metodi tradizionali rimane un buon campo di indagine…

domenica 17 luglio 2011

Un sentiero per disabili sui Sibillini

Un giorno di vacanza per una camminata in montagna: dal rifugio degli alpini a Forca di Presta (1550 metri) al rifugio Colle Le Cese (due ore e un quarto di cammino all'andata, passando per il grande anello dei Sibillini e altre due ore e un quarto per il ritorno passando per i prati sotto Castelluccio...). Nella parte iniziale del percorso, ed è stata questo l'aspetto interessante, abbiamo seguito il sentiero per disabili: proprio partendo dal rifugio degli alpini è stato allestito un sentiero percorribile anche con la carrozzina. L'inizo del sentiero è ben segnalato con un apposito cartello: http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5947303790/in/set-72157627217053236/ e http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5947305230/in/set-72157627217053236/. Il percorso nel complesso è ben tenuto, anche se in alcuni punti il manto in cemento è saltato facendo emergere pietrume e roccia non ideali per le ruote di una carrozzina:http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5947306482/in/set-72157627217053236/. Al termine del percorso un belvedere, reso accessibile tramite una pedana in legno, http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5946752959/in/set-72157627217053236/, permette una splendida vista sia verso il monte Vettore sia verso la vallata del Tronto.

venerdì 15 luglio 2011

Scrittura Braille all'orto botanico dell'Università di Firenze

Vista un'ora disposizione prima del treno, ne ho approfittato per visitare l'orto botanico dell'Università di Firenze. Giardini ed orti botanici sono luoghi affascinanti: come i processi formativi si muovono tra naturale e artificiale e questa potrebbe essere (sto pensando ad un libro di Demetrio) una similitudine da sviluppare ulteriormente...

Mi ha colpito la presenza di schede in Braille per i visitatori non vedenti: questa è una delle schede:
http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/sets/72157627155834246/
Per il resto, da persona non esperta, sono rimasto ammirato dagli alberi ad alto fusto ed in particolare da una quercia sughera (nelle Marche che io sappia si conosce un solo esemplare, che mi è sembrato decisamente malmesso, all'Abbazia di Fiastra vicino Macerata). Di grande aiuto la guida di Mario Clauser, Luciano Di Fazio e Paolo Romagnoli, Gli alberi dell'orto botanico, Università di Firenze, Firenze 2005.


sabato 9 luglio 2011

Per A.M. e D.R.: Mc Gonigal/La realtà in gioco

Jane McGonigal, La realtà in gioco. Perché i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo, Apogeo, Milano 2011

Appunti di lettura

1. La rilevanza del fenomeno videoludico
“Il fatto che così tante persone di tutte le età, in tutto il mondo, scelgano di spendere così tanto tempo nei mondi dei giochi è segno di qualcosa di importante, una verità che dobbiamo riconoscere urgentemente. La verità è questa: nella società di oggi, i giochi per computer e i videogiochi soddisfano esigenze umane genuine che il mondo reale attualmente non è in grado di soddisfare. I giochi danno soddisfazioni che la realtà non dà” (p. 5) Questo però non implica una fuga dalla realtà, la prospettiva adottata dalla McGonigal è anzi esattamente opposta. Ad un esame della dimensione emotiva del videogioco (ad esempio il trash-talking, pp. 90 e seguenti), principalmente su base psicologica, e al legame con l’idea di felicità, segue la proposta di portare nel modo più ampio possibile all’interno della vita reale la positività del gioco.

2. Definizione di gioco
Gli elementi che definiscono il gioco sono dati da: obiettivo, regole, sistema di feedback, volontarietà della partecipazione (p. 21). Bella la definizione ripresa da Bernard Suits: “giocare un gioco è il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari” (Bernard Suits in Katie Salen, Eric Zimmerman, Rules of Play: Game Design Fundamentals, MIT Press, Cambridge, 2004). La dimensione del divertente non viene considerata essenziale: riprendendo Raph Coster (A theory of fun for game disegn, Paraglyph Press, Phoenix 2004) “i giochi sono “divertenti” solo finché non li si padroneggia completamente” (p. 73).
Interessanti le osservazioni che individuano le differenze tra gioco tradizionale e gioco digitale: a) il feedback: “Questa varietà e intensità di feedback è la differenza più importante fra i giochi digitali e quelli non digitali” (p. 24). In tal senso va segnalata la nozione di flusso: “un buon gioco digitale si gioca sempre al limite del proprio livello di abilità, sempre sull’orlo del fallimento. Quando si cade, si sente subito il bisogno di ricominciare subito a salire. Questo perché praticamente non esiste nulla di altrettanto coinvolgente quanto questo stato di operare ai limiti estremi della propria abilità – quello che i progettisti dei giochi chiamano flow, il “flusso”. Quando siete in uno stato di flusso, volete rimanerci: sia smettere sia vincere sono esiti altrettanto insoddisfacenti” (p. 25, cfr. anche p. 42 e 44); b) mancata conoscenza iniziale delle regole. Nei giochi digitali “I giocatori all’inizio devono affrontare l’ostacolo di non sapere cosa fare e di non sapere come giocare. Questo tipo di impostazione ambigua è nettamente diversa da quella dei giochi storici, anteriori all’era digitale” (p. 26); c) aspetto più banale: a spazi reali di gioco si sostituiscono ambienti digitali costruiti in una logica “epica” (p. 116).

3. Rapporto gioco, lavoro e felicità
C’è uno stretto rapporto tra gioco e lavoro (pp. 28 e seguenti), e tra gioco e felicità (pp. 37 e seguenti). La felicità sarebbe legata a 1. un lavoro soddisfacente, 2. la speranza di avere successo 3. alla realizzare di una connessione sociale, 4. il desiderare ardentemente il (un?) significato (pp. 52-54).

4. Reale e virtuale nel videogioco: gli ARG
La tesi fondamentale e forse la più interessante della McGonigal è il totale capovolgimento del comune modo con cui vengono relazionati videogioco e virtualità: i videogiochi vanno progettati in modo tale che la dimensione digitale/virtuale incida in maniera significativa nella realtà. Il videogioco non è luogo separato e di rifugio dalla realtà, ma, al contrario, invade e contamina la realtà. La prima osservazione parte dalle potenzialità della virtualità nei videogiochi: “Anche se pensiamo i giochi al computer come esperienze virtuali, ci danno una capacità reale di agire: la possibilità di fare qualcosa che viene percepito come concreto anche perché produce risultati misurabili, e il potere di agire direttamente sul mondo virtuale” (p. 64). In tal senso si stanno affermando nuove tipologie di gioco come i giochi a realtà alternativa (ARG): “I progettisti di giochi stanno sempre più spingendo in là i limiti di quanto un gioco possa influenzare la nostra vita reale, e così il concetto di realtà alternativa diventa sempre più centrale nelle discussioni sul futuro dei giochi” (p. 133), “gli ARG sono giochi che si fanno per ottenere di più dalla vita reale, al contrario dei giochi che si fanno per evaderne” (p. 133). Vengono riportati molteplici esempi, come Chore Wars (p. 127) (url: http://www.chorewars.com/), una gara per accumulare punti digitali facendo al meglio le pulizie di casa, o Bounce, un gioco relativo alla differenza tra generazioni (pp. 188 e seguenti) (per D.R: sarebbe interessante ragionare se può essere adattato ad altri tipi di differenza) o Free Rice (p. 244). Esistono varie tipologie di ARG: ci sono ARG di eventi dal vivo e ARG narrativi “che usano il racconto multimediale – video, testo, fotografie, audio e anche graphic novel – per intrecciare missioni di gioco nel mondo reale con una storia di fantasia interessante” (p. 151).
La conclusione dell’intero libro si incentra su un nuovo rapporto gioco digitale/realtà: “Non possiamo più permetterci di vedere i giochi come qualcosa di distinto dalla vita reale e dal lavoro reale. Non solo è uno spreco delle potenzialità che hanno i giochi di fare realmente del bene – è semplicemente falso. I giochi non ci distraggono dalla vita reale. La riempiono: di emozioni positive, di attività positiva, di esperienze positive e di forze positive. I giochi non ci portano al tramonto della civiltà umana, ma alla sua reinvenzione. La grande sfida per noi oggi, e per il resto del secolo, è integrare meglio i giochi nella vita quotidiana , e adottarli come piattaforma per collaborare nelle nostre iniziative planetarie più importanti. Se ci impegniamo a imbrigliare il potere dei giochi per la felicità reale e per un reale cambiamento, allora una realtà migliore è più che possibile – è probabile “ (p. 366).

5. Dimensione sociale del videogioco
La dimensione sociale è un tratto fondamentale dello sviluppo dei videogiochi: “Questa capacità del gioco di dare dipendenza ci spinge ad avviare interazioni sociali con membri della nostra rete sociale estesa che normalmente escluderemmo dalla nostra vita quotidiana online” (p. 86). Interessanti anche le osservazioni sul videogioco come rimedio alla solitudine (p. 100). McGonigal rinvia a Gentile, Douglas A., Anderson, Craig, A., Yukara, Shintaro et al. “The Effects of Prosocial Video Games on Prosocial Behaviors: Internazional Evidences from Correlation, Longitudinal, and Experimental Studies” in Personality and Social Psichology Bulletin, 35, 2009, pp. 752-63 (p. 123).
Del resto è esplicitamente dichiarato il legame con i giochi cooperativi e il movimento dei New Games degli anni ‘60 (due i principi “Primo, nessuno mai deve restare a scaldare la panchina perché non è abbastanza bravo per giocare. Secondo, il gioco competitivo non deve puntare alla vittoria, ma al giocare più intensamente e più a lungo dell’altra squadra, per divertirsi di più”) (p. 152). Il testo di riferimento è The New Games Book (Duobleday, Garden City, NY, 1976). E comunque un apposito spazio è dato ai giochi di partecipazione sociale (pp. 261 e seguenti) e al gioco come piattaforma di collaborazione (pp. 281 e seguenti).

6. Videogioco, identità e apprendimento
Il legame tra videogioco e costruzione dell’identità è esplicitamente toccato (p. 349, il riferimento è al gioco Evoke). Intrigante il discorso sulla funzione dell’avatar come fonte di feedback, McGonigal rinvia a Fox, Jesse Bailenson, Jeremy N., “Virtual Self-Modeling: The Effects of Vicarious Reinforcement and Identification on Exercise Behaviors”, in Media Psycology, 12, 2009, pp. 1-25 (p. 171). Il videogioco viene visto come ambiente di apprendimento (p. 81), e si segnala come caso esemplare la scuola quest to learn (pp. 135 e seguenti) anche se la stessa Wikipedia viene interpretata in termini ludici (p. 239). Sull’educazione alla creatività (e sto pensando a A.M) viene ricordato Spore (p. 312). Sarebbe interessante ragionare anche sulla similitudine tra lo “stato di servizio” di alcuni giochi e il portfolio (p. 110), bellissima del resto, per quanto riguarda la valutazione, la citazione di Lord Kelvin “se non si può misurare, non si può migliorare” (p. 166).

7. Gioco, dono e nuove forme di economia
Per quanto in alcuni aspetti le osservazioni posano sembrare retoriche, McGonigal invita a "mettere in dubbio la ricchezza materiale come fonte di felicità autentica […] cerchiamo invece di aumentare la nostra ricchezza di esperienze, relazioni ed emozioni positive” (p. 362). In tal senso “dobbiamo smettere di pensare i giochi come puro divertimento d’evasione” in quanto la loro funzione è “fornire emozioni positive reali, esperienze positive reali e connessioni sociali reali in un momento di difficoltà” (p. 361). Riprendendo quest’ultimo riferimento, rinvia ad una specifica tipologia di gioco, quello di previsione (forecasting games) come wordwithoutoil (p. 315). [nota su dono e videogioco p. 88]

8. Sitografia segnalata

Tra le molte segnalazioni (tra cui quella puntuale di tutti i giochi presentati) si distinguono http://realityisbroken.org/ (il sito del libro) e http://www.glsconference.org/2011/ (importante conferenza annuale). Il blog della McGonigal è visionabile al seguente indirizzo http://blog.avantgame.com/.

domenica 3 luglio 2011

Facoltà di scienze della formazione - Università di Firenze

Bell'incontro alla Facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Firenze, il 30 giugno... Ero stato, anni fa, nella vecchia sede e non non avevo mai visto la nuova in via Laura 48.


Queste le foto:
http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/sets/72157626979835931/

domenica 26 giugno 2011

Per D.R: scuola, gioco e quest to learn

Sto finendo di leggere il libro di Jane McGonigal, La realtà in gioco. Perchè i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo (Apogeo, Milano 2011). Mi sono imbattuto in un passo che potrebbe essere interessante per il suo progetto di ricerca: "Quest to learn è una public charter school di New York City per studenti che frequentano dal sesto al dodicesimo anno scolastico. É la prima scuola al mondo basata sul gioco - ma i suoi fondatori sperano che funga da modello per altre scuole ovunque" (p. 137).

Vista la sua idea di lavorare sul rapporto tra didattica e gioco, Quest to learn potrebbe essere l'oggetto di un studio di caso significativo.

Per un approfondimento le segnalo, oltre al libro della McGonigal, i seguenti materiali:



Un video che vede la McGonigal come protagonista nel presentare la sua idea di gioco (bello il meccanismo di sottotitolazione del video) http://www.ted.com/talks/jane_mcgonigal_gaming_can_make_a_better_world.html


Un video della dirigente della scuola http://www.youtube.com/watch?v=kHtj6PCpyLQ


La pubblicazione del MIT (scaricabile gratuitamente) che illustra e documenta il progetto http://mitpress.mit.edu/catalog/item/default.asp?ttype=2&tid=12435

















venerdì 24 giugno 2011

Il faro di Termoli

Qualche mese fa, approfittando di una coincidenza saltata, sono tornato a visitare il borgo storico di Termoli ed il suo faro. Certo, rispetto al castello di Federico, il faro, tra l'altro coperto da impalcature (era il 30 marzo), ha un fascino ben minore... Enrica Simonetti (Luci ed eclissi sul mare. Fari d'Italia, Laterza, Roma-Bari 2005) gli dedica poco più di una nota a p. 216: "il faro è un traliccio bianco che in gergo si chaima "quadripode", innalzato sul porto nel 1963".
Queste le foto:
http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/sets/72157626914476187/.

venerdì 17 giugno 2011

Dossena: gioco e didattica

Sono riuscito a trovare (erano anni che lo cercavo...) un piccolo libro di Giampaolo Dossena, uno dei più grandi esperti italiani di giochi, titolato, in modo provocatorio Abbasso la pedagogia (Garzanti, Milano 1993). Si tratta di uno splendido libretto che racconta di giochi, giocattoli e strumenti didattici (pennini inclusi) di una cartoleria degli anni trenta rimasta intatta per decenni. La contrapposizione all'origine del titolo rimane in parte attuale: da un lato chi si occupa di giochi non è interessato alla dimensione pedadogica e didattica. Dall'altro lato chi occupa di pedagogia sembra avere nei confronti del gioco una visione troppo strumentale: "chi professa o pratica pedagogia a volte non si occupa a fondo di giochi, ne conosce pochi, non li ama tanto, pensa ai modi di strumentalizzarli (favorirne alcuni, proibirne altri)" (p. 15). Certamente, e solo limitandosi ad alcuni esempi, le riflessioni di Rovatti, Zoletto per il contesto italiano e Prensky e Jenkins per quello americano sfuggono a questa contrapposizione. Ma l'osservazione di Dossena credo possa essere ancora oggi meritevole di riflessione...

domenica 5 giugno 2011

Ancora un numero di Form@re sul microblogging

Un secondo numero di Form@re sul tema del microblogging è stato da poco pubblicato. Si tratta del numero 75 della rivista dal titolo “Microblogging: quale valore per l’educazione?”, a cura di Carmen Holotescu e Gabriela Grosseck. Il numero propone la traduzione dell’editoriale e di altri contributi pubblicati in inglese nello scorso numero con l'inserimento di due ulteriori interventi finalizzati al contesto italiano. Il primo, I social network nella didattica, di Andreas Formiconi, dell’Università di Firenze, affronta, tra l’altro, il tema dell’uso di Facebook e Twitter nella didattica, facendo riferimento anche a esperienze italiane. Questo è l'indirizzo: http://formare.erickson.it/wordpress/it/2011/i-social-network-nella-didattica/. Il secondo, Tra blog, Twitter e social network, di Filippo Bruni, dell’Università del Molise, segnala, anche alla luce del dibattito svoltosi tra edublogger italiani, alcuni usi didattici di Twitter. Indirizzo: http://formare.erickson.it/wordpress/it/2011/tra-blog-twitter-e-social-network/.

martedì 31 maggio 2011

Blog didattici in Molise

L'uso didattico del blog è un tema che mi interessa molto. Avevo già segnalato, per quanto riguarda il Molise, i blog aperti in occasione del progetto Classi 2.0 (http://unanotaasettimana.blogspot.com/2010/06/clssi-20-e-blog-in-molise.html). Ho avuto modo di conoscere altri docenti che, sempre in Molise, stanno utilizzando il blog come strumento didattico.
La prima segnalazione da fare è quella del blog di Elvio Petrecca, Ausilblog. Il blog di chi pensa che diverso non significa inferiore, tutto dedicato al rapporto tra disabilità e nuove tecnologie (lo ringrazio tra l'altro per aver segnalato, con tanto di manifesto e foto, il convegno sul tema della disabilità promosso dall'Ufficio Scolastico regionale per il Molise e dall'Università del Molise). L'indirizzo del blog è il seguente: http://ausilblog.blogspot.com/.
La seconda segnalazione è per due blog di Chiara Sbarbada, Termini international e Termoli speacks english! From Scuola Media “Brigida” to the world!, utilizzati per l'insegnamento della lingua inglese nella logica del Class portal, per utilizzare la classificazione proposta da Richardson. Soprattutto il secondo, grazie al fatto di essere da più tempo utilizzato, è ricco di risorse e proposte (da segnalare anche l'adesione ad una esperienza molto interessante come La scuola che funziona). Ecco gli indirizzi: http://termolinternational.blogspot.com/ e
http://termolispeaksenglish.blogspot.com/
Tutti i miei complimenti ed i migliori auguri perchè possano essere esperienze durature ed efficaci!

lunedì 23 maggio 2011

Gianfranco Staccioli/Ludobiografia seconda parte

Gianfranco Staccioli, Ludobiografia: raccontare e raccontarsi con il gioco, Carocci, Roma 2010

Appunti di lettura – seconda parte: i giochi

Offrire un quadro dei tanti ed interessanti giochi proposti è decisamente un compito arduo. Segnalo, sulla base di una griglia personale, quelli che potrebbero essere sviluppati in una dimensione digitale.

1. giochi con le parole
L’idea di fondo è data dal fatto che giocare con il nome costituisca un tratto proprio della ludobiografia. Sono proposti Gli acrostici (tautogrammato, economico, dei sogni, delle vacanze) (pp. 44-45), I logogrifi (pp.46-47), Nomi in rima (p. 47), A bigliettini (pp. 47). Fortissimo è ovviamente il legame con i giochi di parole in generale (altri spunti possono venire dai Draghi Locopei della Zamponi, che propone giochi usando nome e cognome). La dimensione narrativa e autobiografica è del tutto embrionale: ho avuto però esperienza di come l’anagramma del proprio nome e cognome possa diventare una descrizione di sé. L’utilizzo di un blog può essere uno strumento efficace per pubblicare e condividere i lavori.

2. giochi con gli oggetti
Che cosa porto con me (p. 69): il gioco riprende la classica domanda su cosa porteresti su un’isola deserta. Interessante la proposta di gestirlo in gruppi e dando un limite agli oggetti. Potrebbe essere usato con la variante cosa portare in classe, o cosa portare in università.

3. giochi con le immagini
In relazione alle immagini sono rilevanti le premesse teoriche presentate: a) le immagini che ci ritraggono sono sempre in qualche modo ambigue, incomplete "non siamo noi, siamo qualcosa di noi" (p. 91), “L’immagine della realtà non corrisponde alla realtà” (p. 92) (interessanti le note sul rapporto tra fotografia e identità); b) “Chi fa un ritratto, e ancor più chi si fa un autoritratto, costruisce un dialogo fra sé e l’immagine” (p. 92) (potrebbero essere riprese alcune osservazioni di Saramago); c. la dimensione ludica: “Il gioco e il divertimento che si possono provare nel rappresentare con le immagini […] non sono in contrasto con l’esigenza di “dare forma” a ciò che si vien facendo” (p. 93).
Il gioco Le cornici (p. 74) parte dall’idea che “vedere è scegliere, vedere è scartare, vedere è selezionare, vedere è interpretare” (p. 72) e consiste nell’uso di una cornice in cartone per delimitare parte di ciò che vediamo. Potrebbe essere trasposto al digitale utilizzando il comando area di Flickr. La dimensione narrativa, solo in nuce se limitata all’individuazione di un titolo e di una didascalia, potrebbe essere implementata riprendendo il suggerimento di Munari in Codice Ovvio.

4. giochi narrativi con le immagini
Se-dici carte (p. 50): bel gioco sia perché le immagini/carte sono realizzate dai giocatori sia perché la dimensione narrativa è ben espressa. Mi ricorda il Calvino de Il castello dei destini incrociati.
Le colonne percettive di Daniela Orbetti (pp.106-107): anche questo è un bel gioco, decisamente più creativo implicando la realizzazione di disegni che rappresentino una emozione/evento.
In entrambi i casi si potrebbe pensare ad un trasposizione con Flickr.
Autoritratti (p. 100): alla luce dell’osservazione che più una fedele riproduzione l’autoritratto è una interpretazione - legata anche alla dimensione creativa e artistica - vengono proposte una serie di tecniche con cui realizzare un autoritratto. La dimensione digitale potrebbe essere aggiunta dalla creazione di un avatar utilizzando gli appositi siti on line e proponendone l’uso all’interno di social network.

5. giochi narrativi con i suoni
Un suono in testa (p. 82): idea interessante. Scegliere un suono, riprodurlo, farlo indovinare, spiegare la scelta… Ho in mente la trasposizione digitale utilizzando i sound effects disponibili gratuitamente on line.

6. giochi narrativi di tipo empatico (prospettiva interculturale)
Un aspetto/uso che andrebbe valorizzato nelle proposte di Staccioli è quello legato alla dimensione empatica/interculturale. Interessante Come se… , che consiste nel raccontare [scrivendo] un’esperienza personale abbandonando il proprio punto di vista mettendosi nella testa e negli occhi altrui: “L’evento viene narrato con gli occhi di un altro o con gli occhi dell’oggetto che è protagonista del racconto ” (p. 61). L’esempio presentato è relativo alla visita da parte di bambini di una fattoria: un uso in contesto adulto sarebbe da provare.

7. giochi narrativi di tipo empatico basati sulle immagini (prospettiva interculturale)
Le proposte più convincenti mi sembrano quelle che legano narrazione, immagine ed interculturalità. Primo gioco da segnalare è Foto e narrazioni (p. 113-114), che utilizza fotografie, possibilmente primi piani, per realizzare narrazioni: “L’elemento importante è che questa scrittura dovrà essere fatta “come se” il personaggio ritratto parlasse in prima persona” (pp. 113-114). Molto simile Primi piani (p. 97). Anche Storie in cartolina (pp.114-115) segue il medesimo criterio sostituendo alle fotografie delle cartoline: “Raccontare una cartolina non è solo descrivere ciò che si vede, ma è, allo stesso tempo, entrare dalla finestra del tempo e mescolarsi con la gente di allora, prendendo parte ai movimenti vitali che attraversavano quelle persone che sono presenti nell’immagine” (p. 114). Molto simile Carto-linee (p. 96). La dimensione empatica/interculturale potrebbe essere accresciuta utilizzando foto/cartoline di altre epoche e culture: potrebbe essere proficuo per lavorare sugli stereotipi (sto pensando alle tante foto “coloniali” del regime fascista). Il tutto potrebbe essere riproposto su base digitale.

domenica 22 maggio 2011

Gianfranco Staccioli/Ludobiografia prima parte

Gianfranco Staccioli, Ludobiografia: raccontare e raccontarsi con il gioco, Carocci, Roma 2010

Appunti di lettura – prima parte: la cornice teorica



Definizione di ludobiografia: “narrazione di sé attraverso molteplici strumenti ludici” (p. 9), “Ludobiografia è la scrittura (nelle sue varie forme) attuata in forma di gioco o rivolta a gioco e al giocare” (p. 10).
Va segnalato lo scarto tra gioco e ludicità. Dopo aver mostrato le ambiguità dell’idea di gioco, Staccioli osserva che: “il termine ludico ha anch’esso diverse ambiguità, ma perlomeno non si identifica con una cosa ambigua come il termine gioco o con un determinato gioco, o con un preciso regolamento di una partita. Ludico è un atteggiamento di disponibilità, è casomai più vicino a termini come “giocare”, “entrare in gioco”, “mettersi in gioco”. È più play che game” (p. 36). In tal senso è perfettamente coerente, facendo riferimento a Bruner, il parallelo tra il giocare e il vagabondare (p. 36).
Importanza attribuita alla relazione: “Ciò che può frenare il narrare e il narrarsi è la relazione. Si può raccontare quando si sa di essere accolti” (p. 10-11). Si potrebbe istituire un parallelo con le comunità di racconto di Jedlowsky.
Interessante il commento a la Galleria di stampe di Escher (p. 15) per sottolineare la sovrapposizione dei ruoli di osservatore ed osservato.
Il disegno infantile è di per sé una narrazione autobiografica (p. 17).
La ludobiografia come apertura e coinvolgimento: “La memoria ludobiografica è anche un atto di comunicazione, comunicazione con sé stessi e comunicazione con altri. In questo senso ciò che diventa importante non è comunicare “il certo” (anche se è giusto sforzarsi per farlo), quanto la nostra voglia di elaborare, di rappresentare un’opera aperta, incompleta, orientata verso ulteriori approfondimenti e visioni , curiosamente stimolante per noi e gli altri” (p. 25).
Articolazione basata sugli strumenti utilizzati : 1. grafie del nome: giocare con i nomi propri o altrui; 2. grafie nelle cose: si usano oggetti per stimolare ricordi ed emozioni; 3. grafie dentro di noi; 4. grafie delle immagini; 5. grafie del corpo (p. 41).


Una nota sulle conclusioni. Una esigenza indubbiamente condivisibile viene contrapposta alla dimensione digitale: “le relazioni fra le persone sono oggi quantitativamente enormi. Per “parlare” con altri basta chattare o conoscere certi programmi che utilizzano Internet. […] Eppure tutti siamo più soli. La dimensione delle relazioni globali passa attraverso l’individuo, non attraverso il gruppo reale, lo scambio tra pochi che possono guardarsi negli occhi […] Il bisogno di ritrovare una bolla protettiva, un luogo (seppur transitorio) di pausa, uno spazio dove la competizione non ha più senso, un paese dove si può ridere, soffrire, scherzare o commuoversi senza paura di giudizi, questo bisogno non è scomparso . L’esigenza profonda di stare con sé stessi e con altri in maniera “umana” rimane in ciascuno di noi” (pp. 138-139). L’ipotesi su cui lavorare è quella di una complementarietà reale/virtuale, dove le relazioni virtuali consolidano le reali.

domenica 15 maggio 2011

Munari, Belgrano e l'uso di immagini per raccontare

Per M.F.

Sempre pensando al suo lavoro di tesi, le segnalo il gioco di Giovanni Belgrano e Bruno Munari, PIU' E MENO, (Corraini editore, Mantova, 1970-2008). Bruno Munari è un personaggio troppo noto per essere presentato e Belgrano, da quanto so, ha lavorato a lungo nella scuola.

Il gioco o costruito da una serie di carte rettangolari (72 per la precisione), sovrapponibili grazie al fatto che la maggior parte (48) sono immagini su fondo trasparente. Questo rende possibile comporre le immagini tra di loro.

Interessanti le indicazioni d'uso che non vanno solamente verso un generico supporto alla creatività, ma in una direzione narrativa. Nel depliant allegato si afferma: "Si può giocare in gruppo raccontando insieme: distribuire le carte ai bambini; il capogioco inizia con una prima sovrapposizione di due carte e ne spiega il significato; gli altri bambini a turno aggiungono le loro carte, continuando la descrizione delle immagini che mutano. Consegnare ai bambini un numero limitato di carte. Vince chi riesce a trovare il maggior numero possibile di associazioni d'immagini".

Ecco un esempio:


Il gioco è consigliato per la fascia d'età che va dai 3 agli 8 anni.

Di nuovo, come per il libro di Mari, mi chiedo come effettivamente possa essere giocato in classe. Mi lascia perplesso il criterio per stabilire un vincitore (credo sia possibile solo in un contesto con pochi bimbi molto coinvolti). Convincente il suggerimento di utilizzare le carte a gruppi (non certo scelte a caso, ma quelle logicamente sovrapponibili). Anche qui però faccio fatica vederlo come gioco destinato all'intero gruppo classe: molto meglio un piccolo gruppo. Dal punto di vista del design - e non potrebbe essere altrimenti, vista la genialità di Munari - è comunque un oggetto splendido: sarebbe bello pensarne una versione digitale... sul sito della Corraini un gioco per il digital storytelling con alcune delle schede di Munari e Belgrano sarebbe anche un'ottima pubblicità...

mercoledì 4 maggio 2011

Sulle tesi di laurea 2

Per le studentesse e gli studenti di cui sono relatore



Inserisco, provando a sintetizzarle, le indicazioni che abitualmente fornisco:
1. Concordato l’ambito di lavoro, si tratta di a) individuare un titolo provvisorio, b) realizzare una bozza di quella che diventerà, adeguatamente rivista, l’introduzione in cui viene presentata l’idea progettuale, c) realizzare un indice provvisorio con i titoli dei capitoli, d) stendere una bibliografia con i primi titoli letti o da leggere.
2. Solo dopo questa piccola produzione è possibile individuare il titolo definitivo da depositare in segreteria.
3. Il passo successivo consiste in ulteriori letture e nell’iniziare a stendere un primo capitolo.
4. Su come citare e come realizzare la bibliografia si consiglia di fare riferimento ad un paio di libri che certamente avete studiato (vero?) come Rossi, P.G. (2005), Progettare e realizzare il portfolio, Roma, Carocci o Bruni, F. (2009), Blog e didattica. Una risorsa del web 2.0 per i processi di insegnamento, Macerata, EUM.
5. Il confronto con il contesto internazionale è indispensabile: con ogni probabilità nel corso del lavoro per la tesi sarà necessario leggere articoli e testi in lingua inglese. Se, nonostante l’obbligo previsto dal corso di studi, ritiene di non essere in grado di leggere saggi in lingua inglese, la invito a trovare un altro relatore.
6. Sui testi indispensabili per la stesura della tesi: una delle principali abilità nella vita consiste nell’essere autonomi nel reperire quanto serve. Non è mia abitudine prestare libri (lei mi scuserà, ma ne ho persi troppi…): esistono molte biblioteche e sarà mia cura aiutarla a cercare quella giusta. Mi permetta di farle presente che forse qualche opera merita anche di essere acquistata…
7. Troppo spesso le tesi consistono nella sintesi di una serie di letture: affiancare, magari utilizzando intelligentemente il tirocinio, una parte empirica (da un’indagine in una classe alla sperimentazione di strumenti didattici di vario genere) è una prospettiva che le suggerisco di tener presente sin dall’inizio.
8. Quando un capitolo è pronto va consegnato in copia cartacea (la prego cortesemente di non inviarmi allegati via mail: purtroppo per me le migliori ore di lettura sono quelle in treno) in orario di ricevimento e presentato illustrando quali sono stati i testi letti e come sono stati utilizzati. La prego di accompagnare sempre il capitolo con una copia dell’indice e della bibliografia (Le faccio presente sin da ora che tutti i testi citati nella tesi devono essere presenti in bibliografia, e che tutti i testi elencati in bibliografia devono essere utilizzati nei vari capitoli della tesi).
9. Nel momento in cui mi consegna il capitolo sono solito indicare la data in cui lo restituirò letto e annotato (se mi dimenticassi di indicarle la data, me la chieda!).
10. La prego cortesemente di evitare la presentazione dell’intero lavoro di tesi (a meno che non si tratti della lettura finale dell’intero lavoro), o di parti di capitolo.
11. Di capitolo in capitolo si procede fino alla consegna dell’intera tesi per un'ultima lettura complessiva. La prego di consegnare il materiale per l’ultima lettura almeno 15 giorni prima della scadenza della consegna del cd rom in cui deve essere presente la versione definitiva della tesi (apporrò le firme sul cd solo a patto che questa indicazione sia rispettata).

Sulle tesi di laurea 1

Per le studentesse e gli studenti che vorrebbero chiedermi la tesi




Ho seguito e sto seguendo molte tesi, sarei tentato di dire troppe, dal momento che vorrei seguirle con attenzione e cura maggiore di quanto mi riesca. Viste le esperienze accumulate in questi anni, piuttosto che ripetere in modo frammentario ed incompleto quanto mi capita di dire a chi bussa alla porta del mio studio, provo a scrivere tutto in un paio di post. Procedo per punti: a costo di essere schematico vorrei evitare qualsiasi fraintendimento…
1. Il primo e fondamentale punto consiste nella lettura di un brevissimo scritto di Italo Mancini, intitolato Lettera a un laureando disponibile on line all’indirizzo http://www.uniurb.it/scirel/biblioteca/guida.pdf.
2. La lettura del breve testo di Italo Mancini non serve tanto a dare indicazioni tecniche su come realizzare una tesi di laurea (il modo di realizzare citazioni e bibliografie è cambiato…), quanto a suggerire, sia pure con un linguaggio che le potrà sembrare desueto, il senso della realizzazione di una tesi. Per quanto possa apparire banale o retorico la realizzazione di una tesi è un lavoro impegnativo che la vede come protagonista di un percorso che non consiste nel semplice riassunto di qualche testo frettolosamente letto e parafrasato.
3. La realizzazione di una tesi implica quindi l’individuazione di un ambito di lavoro, di un problema su cui raccogliere dati che sono da rielaborare. Le chiedo un atteggiamento attivo e partecipe: mi rendo conto che tale prospettiva possa non entusiasmare chi vede il lavoro della tesi come l’ultimo ostacolo burocratico di un percorso percepito in maniera riduttiva senza comprendere che la professionalità di chi insegna richiede visioni e strumentazioni adeguate.
4. Chiedere la tesi ad un docente implica averlo scelto e questo dovrebbe presupporre aver frequentato i suoi corsi, aver partecipato attivamente alle sue lezioni, aver posto questioni e discusso sui temi della sue discipline. Detto altrimenti ed in modo più crudo: eviti di chiedere di essere seguita per la realizzazione della tesi inviando una mail (le posso assicurare che mi è successo) o di fermare i docenti nei corridoi per la medesima richiesta (le posso assicurare che mi è successo anche questo…). Esistono gli orari di ricevimento…. Li usi!
5. Un ulteriore consiglio: è meglio che eviti di presentarsi usando espressioni del tipo “mi devo laureare tra 6 mesi”. Espressioni del genere mostrano una scarsa capacità di organizzare i propri impegni e fanno nascere una serie di dubbi facilmente intuibili. La laurea verrà dopo aver realizzato un lavoro che soddisfi, in maniera almeno minima, una serie di requisiti.
6. Ultimo consiglio (per questo post): si presenti con delle proposte di lavoro. Lei sarà l’autore/l’autrice della tesi, come può lavorare su un tema che non la interessa, che non la coinvolge e che non ha ricadute sulle sue future pratiche professionali?

lunedì 25 aprile 2011

Per M. F.: Enzo Mari e l'uso di immagini per raccontare

Gentile M. F.,

stavo pensando alla sua tesi sull'uso delle immagini nella scuola, in particolare nella materna. Credo dovrebbe vedere (sì è proprio il termine è esatto) il libro di Enzo Mari, Il gioco delle favole, Corraini, Mantova 2010 (è la quinta ristampa).

Per quanto formalmente rientri nel genere libro (c'è tanto di numero ISBN), di fatto è costituito di sole immagini. Come detto nella presentazione stampata nella custodia (l'unico breve testo scritto è tradotto anche inglese, spagnolo e cinese (o giapponese?) sottolinenandone così anche l'interculturalità) si tratta di 6 tavole di ribusto cartoncino rigido, con appositi tagli che permettono di collegarle l'una all'altra. Sulle tavole sono raffigurati "quarantacinque animali, il sole, la luna, un ombrello, uno scarpone, una gabbia, un riccio, otto alberi, un tronco, nove bambù, cinque sassi, una mela, un cumulo di terra, due uova". Sicuramente molti elementi sono ripresi, come giustamente osservato, dal più classico repertorio delle favole.

L'uso proposto è semplice: a partire dalle figure, una volta incastrate le tavole in verticale, vanno raccontate storie/create favole e il gioco è proposto dal suo creatore tanto ai bambini quanto agli adulti.

A proposito dell'autore: Enzo Mari non è nè uno scrittore per l'infanzia, nè un pedagogista, ma piuttosto un personaggio a metà tra arte e design, un po' come Munari per intendersi.

Le mie curiosità vanno ovviamente nella direzione degli usi didattici. Sarebbe importante capire come questo libro/gioco sia stato effettivamente usato. Ad esempio: nelle custodia se ne propone, tramite una apposità immagine, un uso che con tutte le tavole, ma così è difficile vedere parte delle immagini. Molto più efficace, almeno in una fase iniziale, limitarsi a tre tavole (come in questi esempi: http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5652567213/in/set-72157625368914139/, http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5653134520/in/set-72157625368914139/). Mi chiedo inoltre come effettivamente venga giocato il gioco: sistemare le tavole di fronte a degli allievi (anche adulti) chiedendo di raccontare una favola non mi sembra particolarmente efficace. Quali altre strategie/approcci potrebbero essere utilizzati (identificazione di ciascun allievo in un animale/oggetto? Un intervento dell'insegnante? Ma come?).

Sarebbe da capire se il successo della bellissima creazione di Enzo Mari (che continua ad essere ristampata dal 1965) dipenda da un uso legato effettivamente al gioco o se sia legato alla bellezza grafica (che già da sola ne giustifica più che ampiamente l'acquisto). Strumento per la creatività o raffinato oggetto di design da collezionare? Del resto perchè contrapporre questi due elementi? Riuscire a intrecciarli sarebbe la cosa più bella...

Dimenticavo: sarebbe interessante cercare le affinità con alcune indicazioni di Rodari nella Grammatica della fantasia...

sabato 23 aprile 2011

Anagrammi 1

Per il laboratorio di metodologia del gioco e dell’animazione

Il piccolo elenco di libri che segue è un elenco di libri effettivamente esistenti: gli autori sono reali e riportati esattamente, i dati tipografici sono egualmente esatti. In ciascun titolo una parola è stata sostituita. Una volta individuato il termine errato presente in ciascun titolo, vi invito a trovare il criterio che accomuna tutti i termini errati…
Se invierete un commento con la soluzione, provvederò a cancellarlo: se inserirete ulteriori autori/titoli formulati con lo stesso criterio che io ho utilizzato, l’esame finale diventerà più facile…

Belot A., Molies de jeunesse, Dentu, Paris 1876
Borghi C. et al. (a cura), Approccio cardiovascolare globale al paziente mlieso, Primula multimedia, Pisa 2003
Bradley M. Z., Le nebbie di Esilom, Longanesi, Milano 1986
Hoeg, P., Il senso di Smoeli per la neve, Mondadori, Milano 1997
Tolkien, J.R.R., La leggenda di Esomil e Gudrun, Bompiani, Milano 2009

domenica 3 aprile 2011

Progetto Classi 2.0 in Molise

Riprende il percorso di classi 2.0 in Molise. Il primo incontro si è svolto il 29 marzo scorso al Liceo Scientifico "Romita" di Camposso (un rigraziamento alla dirigente scolastica per la squisita ospitalità...). E' stata una occasione per ascoltare quanto realizzato dalle classi che sono al secondo anno del progetto.

Qui le foto:

venerdì 1 aprile 2011

Jenkins - culture partecipative seconda parte

Note di lettura – parte seconda

Henry Jenkins, Ravi Purushotma, Margaret Weigel, Katie Clinton, Alice Robinson, Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo. Introduzione e cura di Paolo Ferri e Alberto Marinelli, Guerini, Milano 2010


I punti centrali mi sembra siano quattro: la cultura partecipativa, il rapporto tra formale e informale, le competenze digitali, le abilità di base della media literacy.

1. La cultura partecipativa

Definizione di cultura partecipativa: “cultura con barriere relativamente basse per l’espressione artistica e l’impegno civico, che dà un forte sostegno alle attività di produzione e condivisione delle creazioni e prevede una qualche forma di menthorship informale, secondo la quale i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti” (p. 57 e cfr anche p. 67). Individuazione e definizione delle forme della cultura partecipativa (affiliazione, espressioni creative, problem solving di tipo collaborativo, circolazione) (pp. 57-58 e p. 70). Proprio il riferimento alla cultura partecipativa rende insufficiente il riferimento alla sola dimensione individuale: “la cultura partecipativa sposta il focus della costruzione di competenze (literacy) dall’espressione individuale al coinvolgimento nella comunità” (p. 60).


2. Il rapporto tra formale e informale

E' molto interessante il confronto tra formale e informale basato su coppie di concetti contrapposte: conservatore/sperimentale, statico/innovativo, provvisorio/istituzionalizzato, capace di evolversi rapidamente/lento nei cambiamenti, ad hoc e localizzato/burocratico e nazionale (p. 72). Altrettanto significativa la tesi secondo cui, per quanto la dimensione informale sia centrale (p. 64), serve un intervento nella direzione formale per tre motivi: a. eliminare il gap di partecipazione legato all’”accesso ineguale a opportunità, esperienze, abilità e conoscenze”; b. importanza di conseguire la consapevolezza di come “i media formano le percezioni del mondo"; c. sfida etica data dal formare “creatori di media e partecipanti alla vita comunitaria” (p. 59 e cfr. pp. 76-77).

3. Le competenze digitali (ma non solo)

Da segnalare l'esordio basato sulla presentazione di casi (mi affascina il fatto che si narrino esperienze prima ancora di presentare teorie) (pp. 62-64). Definizione di literacy del XXI secolo ripresa dal New Media Consortium “un insieme di abilità e capacità a cui si sovrappongono le competenze relative a suoni, immagini, e formati digitali. Tra queste ci sono l’abilità di comprendere il potere delle immagini e dei suoni, di riconoscerlo e utilizzarlo e l’abilità di manipolare e trasformare i media digitali, di distribuirli in maniera pervasiva e di riadattarli con facilità in forme nuove” (pp. 92-93). Rispetto a tale definizione, Jenkins propone due integrazioni: “abilità di comprendere e produrre testi” come come competenza ancora centrale e “le nuove competenze relative ai media dovrebbero essere considerate un’abilità sociale” (p. 92 cfr anche p. 94). Jenkins recupera l'idea di complessità proponendo un approccio ecologico: “piuttosto che avere a che fare separatamente con ogni singola tecnologia, sembra più opportuno adottare un approccio ecologico, tenendo in considerazione l’interrelazione tra le diverse tecnolgie di comunicazione, le comunità culturali che crescono intorno a loro e le attività che esse supportano” (p. 68).

4. Le abilità di base della media literacy

Questo è l'elenco delle nuove abilità: gioco, simulazione, performance, appropriazione, multitasking, conoscenza distribuita, intelligenza collettiva, giudizio, navigazione transmedia, networking, negoziazione (pp. 60-61).

Ciò che mi colpisce è che il tema del gioco (messo al primo posto per un criterio tassonomico?), si ritrova in gran parte delle abilità sia nelle considerazioni teoriche sia nelle indicazioni di natura didattica: gioco e simulazione (pp. 105-111), gioco, performance e identità (pp. 111-120), gioco come appropriazione (pp. 124-125), gioco e multitasking (p. 131), gioco e conoscenza distribuita (pp. 132-135), gioco e intelligenza collettiva (p. 143). Oltre alla presenza pervasiva del gioco nella descrizione delle nuove abilità, l'importanza del gioco/videogioco per l’apprendimento è esplicitamente dichiarata ( p. 74), anche se, coerentemente con l'impianto del discorso, viene sostenuta l'importanza dell’apprendimento formale per comprenderlo in modo adeguato: “gli studenti hanno imparato a leggere le informazioni dai giochi […] ma non sono stati ancora in grado di imparare a leggere i giochi come testi, costruiti come norme estetiche, convezioni di genree, pregiudizi ideologici e codici di rappresentazione” (p. 84). Sull'importanza del gioco vedi anche pp. 98 e seguenti. Su possibili attività didattiche legate al gioco e alla narrazione: pp. 104-105.

Gli altri elementi da sottolineare all'interno della descrizione delle abilità sono dati dalla narrazione (navigazione transmedia e trans media storytelling, pp. 153 e 158-159) e dalla interculturalità (negoziazione, gioco e interculturalità, pp. 166 e seguenti).


Due ultime note. La prima: molto bella l'idea della scuola tra contadini e cacciatori (la scuola ha formato ispirandosi al modello del contadino...) (pp. 128-129). La seconda: una giusta dose di scetticismo è una virtù. come osserva Jenkins: “dovremmo […] incoraggiare un clima di sano scetticismo, in cui tutte le pretese di verità vengono pesate con criterio, ma in cui esiste un imperativo etico nell’identificare e presentare la verità” (pp. 148-149).

sabato 26 marzo 2011

Jenkins - Culture partecipative prima parte

Note di lettura – parte prima
Henry Jenkins, Ravi Purushotma, Margaret Weigel, Katie Clinton, Alice Robinson, Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo. Introduzione e cura di Paolo Ferri e Alberto Marinelli

Una prima osservazione che va fatta è che in realtà non si tratta di un'opera ma di due: l’introduzione di Paolo Ferri e Alberto Marinelli costituisce non una semplice introduzione ma un saggio autonomo, che offre un quadro aggiornato del contesto europeo e italiano.

Introduzione. New Media Literacy e processi di apprendimento di Paolo Ferri e Alberto Marinelli (pp. 7-53)

Provando ad individuare i nodi concettuali e alcuni riferimenti, questo è l’elenco che mi viene di proporre:

  • Necessità di un approccio che leghi discipline diverse: “Media studies e pedagogical research sono difficilmente separabili di fronte alle sfide che la media education si trova ad affrontare nel XXI secolo” (p. 7).
  • Importanza di ricucire il rapporto tra la dimensione formale, informale e non formale, partendo dall’attenzione verso le modalità di apprendimento proprie della vita quotidiana per arrivare ad individuare modalità di raccordo con le attività formali/scolastiche (ricondurre l’informale al formale, p. 8; p. 20; “la dimensione progettuale deve puntare a integrare, senza soluzioni di continuità, le modalità di conoscenza che hanno origine in contesti tradizionali – come quelli scolastici – con competenze individuali che emergono a partire dalle pratiche di collaborazione e networking in cui i soggetti sono quotidianamente coinvolti” p. 23; p. 25-26). Questa è sicuramente una questione centrale e costituisce la sfida su cui lavorare.
  • In tal senso, cioè nella logica di sperimentare e trovare soluzioni, è condivisibile l’appello alla effettiva sperimentazione: “Nel mondo accademico si comincia forse a prendere atto che maggiore disponibilità di informazione su qualsiasi tema scientifico non significa necessariamente maggiore autonomia di riflessione e dunque apprendimento critico e crescita della conoscenza. Nel quotidiano lavoro scientifico e di ricerca si nota ormai, con grande evidenza, il fatto che alla smisurata messe di contributi che si cumulano sul desktop del proprio computer non corrisponde affatto una differenziazione degli approcci, ricchezza delle ipotesi interpretative, capacità di introdurre quel bias rispetto alle opinioni prevalenti, che fa intravedere un potenziale mutamento di paradigma. Maggiore disponibilità di informazione spesso significa solo maggiore ricorso alla citazione (o, peggio, al cut and paste), quasi si avesse paura di uscire dal tracciato segnato dalle metriche di valutazione (computerizzate e dunque asettiche) cui stoltamente si stanno affidando alcune comunità scientifiche”(p. 9).
  • Sull’idea di competenza digitale (pp. 14-15).
  • Il processo di domesticazione delle tecnologie (p. 17).
  • Competenze di base o di navigazione, di controllo della tecnologia, di regolazione delle tecnologie (pp. 17-18).
  • Sulla comprensione critica: “la funzione educativa può dunque più efficacemente presidiare gli aspetti legati alla comprensione critica, al controllo dei linguaggi e alla promozione della dimensione creativa” (p. 19).
  • Sull’idea di media literacy e sulla sua evoluzione (pp. 20 e seguenti).
  • La proposta di Idit Harel: exploration, expression e exhcange (p. 23).
  • La proposta di Jenkins: spostare l'attenzione dalle competenze individuali a un processo in cui sono centrali le abilità sociali (p. 24).
  • Ricerca Becta (p. 34).

sabato 19 marzo 2011

Per Carlo Colli

Dall’articolo di Emanuele Coppari comparso su Corriere Adriatico di lunedì 14 marzo “Era curioso e colto Carlo Colli. E ti ascoltava quando gli parlavi, con due dita a pizzicarsi la barba e la voglia di conoscere dalle pagine di un libro, dal mondo che ha girato, dalle parole di chi gli stava davanti. La Cisl marchigiana è triste , e un po’ più povera”. Caro Carlo, ti ricordo sorridente dietro una scrivania ingombra di pile di libri e giornali al punto da essere pressoché inutilizzabile a ironizzare con il tuo accento toscano sullo stile decisamente troppo retorico di un nostro collega … e le telefonate via skype entrambi lontani da casa (tu in Albania e io nel più vicino Molise) a raccontarmi di una cooperazione internazionale e di una formazione professionale ben lontane dai maneggi di bassa lega…Ti sono grato per i tanti consigli ricevuti…come quando mi hai detto di Lambert a Polverigi e ho iniziato a sentir parlare di Digital Storytelling…


Detto con poca cristiana rassegnazione, mi dispiace che te ne sia andato.