lunedì 25 aprile 2011

Per M. F.: Enzo Mari e l'uso di immagini per raccontare

Gentile M. F.,

stavo pensando alla sua tesi sull'uso delle immagini nella scuola, in particolare nella materna. Credo dovrebbe vedere (sì è proprio il termine è esatto) il libro di Enzo Mari, Il gioco delle favole, Corraini, Mantova 2010 (è la quinta ristampa).

Per quanto formalmente rientri nel genere libro (c'è tanto di numero ISBN), di fatto è costituito di sole immagini. Come detto nella presentazione stampata nella custodia (l'unico breve testo scritto è tradotto anche inglese, spagnolo e cinese (o giapponese?) sottolinenandone così anche l'interculturalità) si tratta di 6 tavole di ribusto cartoncino rigido, con appositi tagli che permettono di collegarle l'una all'altra. Sulle tavole sono raffigurati "quarantacinque animali, il sole, la luna, un ombrello, uno scarpone, una gabbia, un riccio, otto alberi, un tronco, nove bambù, cinque sassi, una mela, un cumulo di terra, due uova". Sicuramente molti elementi sono ripresi, come giustamente osservato, dal più classico repertorio delle favole.

L'uso proposto è semplice: a partire dalle figure, una volta incastrate le tavole in verticale, vanno raccontate storie/create favole e il gioco è proposto dal suo creatore tanto ai bambini quanto agli adulti.

A proposito dell'autore: Enzo Mari non è nè uno scrittore per l'infanzia, nè un pedagogista, ma piuttosto un personaggio a metà tra arte e design, un po' come Munari per intendersi.

Le mie curiosità vanno ovviamente nella direzione degli usi didattici. Sarebbe importante capire come questo libro/gioco sia stato effettivamente usato. Ad esempio: nelle custodia se ne propone, tramite una apposità immagine, un uso che con tutte le tavole, ma così è difficile vedere parte delle immagini. Molto più efficace, almeno in una fase iniziale, limitarsi a tre tavole (come in questi esempi: http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5652567213/in/set-72157625368914139/, http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5653134520/in/set-72157625368914139/). Mi chiedo inoltre come effettivamente venga giocato il gioco: sistemare le tavole di fronte a degli allievi (anche adulti) chiedendo di raccontare una favola non mi sembra particolarmente efficace. Quali altre strategie/approcci potrebbero essere utilizzati (identificazione di ciascun allievo in un animale/oggetto? Un intervento dell'insegnante? Ma come?).

Sarebbe da capire se il successo della bellissima creazione di Enzo Mari (che continua ad essere ristampata dal 1965) dipenda da un uso legato effettivamente al gioco o se sia legato alla bellezza grafica (che già da sola ne giustifica più che ampiamente l'acquisto). Strumento per la creatività o raffinato oggetto di design da collezionare? Del resto perchè contrapporre questi due elementi? Riuscire a intrecciarli sarebbe la cosa più bella...

Dimenticavo: sarebbe interessante cercare le affinità con alcune indicazioni di Rodari nella Grammatica della fantasia...

sabato 23 aprile 2011

Anagrammi 1

Per il laboratorio di metodologia del gioco e dell’animazione

Il piccolo elenco di libri che segue è un elenco di libri effettivamente esistenti: gli autori sono reali e riportati esattamente, i dati tipografici sono egualmente esatti. In ciascun titolo una parola è stata sostituita. Una volta individuato il termine errato presente in ciascun titolo, vi invito a trovare il criterio che accomuna tutti i termini errati…
Se invierete un commento con la soluzione, provvederò a cancellarlo: se inserirete ulteriori autori/titoli formulati con lo stesso criterio che io ho utilizzato, l’esame finale diventerà più facile…

Belot A., Molies de jeunesse, Dentu, Paris 1876
Borghi C. et al. (a cura), Approccio cardiovascolare globale al paziente mlieso, Primula multimedia, Pisa 2003
Bradley M. Z., Le nebbie di Esilom, Longanesi, Milano 1986
Hoeg, P., Il senso di Smoeli per la neve, Mondadori, Milano 1997
Tolkien, J.R.R., La leggenda di Esomil e Gudrun, Bompiani, Milano 2009

domenica 3 aprile 2011

Progetto Classi 2.0 in Molise

Riprende il percorso di classi 2.0 in Molise. Il primo incontro si è svolto il 29 marzo scorso al Liceo Scientifico "Romita" di Camposso (un rigraziamento alla dirigente scolastica per la squisita ospitalità...). E' stata una occasione per ascoltare quanto realizzato dalle classi che sono al secondo anno del progetto.

Qui le foto:

venerdì 1 aprile 2011

Jenkins - culture partecipative seconda parte

Note di lettura – parte seconda

Henry Jenkins, Ravi Purushotma, Margaret Weigel, Katie Clinton, Alice Robinson, Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo. Introduzione e cura di Paolo Ferri e Alberto Marinelli, Guerini, Milano 2010


I punti centrali mi sembra siano quattro: la cultura partecipativa, il rapporto tra formale e informale, le competenze digitali, le abilità di base della media literacy.

1. La cultura partecipativa

Definizione di cultura partecipativa: “cultura con barriere relativamente basse per l’espressione artistica e l’impegno civico, che dà un forte sostegno alle attività di produzione e condivisione delle creazioni e prevede una qualche forma di menthorship informale, secondo la quale i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti” (p. 57 e cfr anche p. 67). Individuazione e definizione delle forme della cultura partecipativa (affiliazione, espressioni creative, problem solving di tipo collaborativo, circolazione) (pp. 57-58 e p. 70). Proprio il riferimento alla cultura partecipativa rende insufficiente il riferimento alla sola dimensione individuale: “la cultura partecipativa sposta il focus della costruzione di competenze (literacy) dall’espressione individuale al coinvolgimento nella comunità” (p. 60).


2. Il rapporto tra formale e informale

E' molto interessante il confronto tra formale e informale basato su coppie di concetti contrapposte: conservatore/sperimentale, statico/innovativo, provvisorio/istituzionalizzato, capace di evolversi rapidamente/lento nei cambiamenti, ad hoc e localizzato/burocratico e nazionale (p. 72). Altrettanto significativa la tesi secondo cui, per quanto la dimensione informale sia centrale (p. 64), serve un intervento nella direzione formale per tre motivi: a. eliminare il gap di partecipazione legato all’”accesso ineguale a opportunità, esperienze, abilità e conoscenze”; b. importanza di conseguire la consapevolezza di come “i media formano le percezioni del mondo"; c. sfida etica data dal formare “creatori di media e partecipanti alla vita comunitaria” (p. 59 e cfr. pp. 76-77).

3. Le competenze digitali (ma non solo)

Da segnalare l'esordio basato sulla presentazione di casi (mi affascina il fatto che si narrino esperienze prima ancora di presentare teorie) (pp. 62-64). Definizione di literacy del XXI secolo ripresa dal New Media Consortium “un insieme di abilità e capacità a cui si sovrappongono le competenze relative a suoni, immagini, e formati digitali. Tra queste ci sono l’abilità di comprendere il potere delle immagini e dei suoni, di riconoscerlo e utilizzarlo e l’abilità di manipolare e trasformare i media digitali, di distribuirli in maniera pervasiva e di riadattarli con facilità in forme nuove” (pp. 92-93). Rispetto a tale definizione, Jenkins propone due integrazioni: “abilità di comprendere e produrre testi” come come competenza ancora centrale e “le nuove competenze relative ai media dovrebbero essere considerate un’abilità sociale” (p. 92 cfr anche p. 94). Jenkins recupera l'idea di complessità proponendo un approccio ecologico: “piuttosto che avere a che fare separatamente con ogni singola tecnologia, sembra più opportuno adottare un approccio ecologico, tenendo in considerazione l’interrelazione tra le diverse tecnolgie di comunicazione, le comunità culturali che crescono intorno a loro e le attività che esse supportano” (p. 68).

4. Le abilità di base della media literacy

Questo è l'elenco delle nuove abilità: gioco, simulazione, performance, appropriazione, multitasking, conoscenza distribuita, intelligenza collettiva, giudizio, navigazione transmedia, networking, negoziazione (pp. 60-61).

Ciò che mi colpisce è che il tema del gioco (messo al primo posto per un criterio tassonomico?), si ritrova in gran parte delle abilità sia nelle considerazioni teoriche sia nelle indicazioni di natura didattica: gioco e simulazione (pp. 105-111), gioco, performance e identità (pp. 111-120), gioco come appropriazione (pp. 124-125), gioco e multitasking (p. 131), gioco e conoscenza distribuita (pp. 132-135), gioco e intelligenza collettiva (p. 143). Oltre alla presenza pervasiva del gioco nella descrizione delle nuove abilità, l'importanza del gioco/videogioco per l’apprendimento è esplicitamente dichiarata ( p. 74), anche se, coerentemente con l'impianto del discorso, viene sostenuta l'importanza dell’apprendimento formale per comprenderlo in modo adeguato: “gli studenti hanno imparato a leggere le informazioni dai giochi […] ma non sono stati ancora in grado di imparare a leggere i giochi come testi, costruiti come norme estetiche, convezioni di genree, pregiudizi ideologici e codici di rappresentazione” (p. 84). Sull'importanza del gioco vedi anche pp. 98 e seguenti. Su possibili attività didattiche legate al gioco e alla narrazione: pp. 104-105.

Gli altri elementi da sottolineare all'interno della descrizione delle abilità sono dati dalla narrazione (navigazione transmedia e trans media storytelling, pp. 153 e 158-159) e dalla interculturalità (negoziazione, gioco e interculturalità, pp. 166 e seguenti).


Due ultime note. La prima: molto bella l'idea della scuola tra contadini e cacciatori (la scuola ha formato ispirandosi al modello del contadino...) (pp. 128-129). La seconda: una giusta dose di scetticismo è una virtù. come osserva Jenkins: “dovremmo […] incoraggiare un clima di sano scetticismo, in cui tutte le pretese di verità vengono pesate con criterio, ma in cui esiste un imperativo etico nell’identificare e presentare la verità” (pp. 148-149).