mercoledì 26 dicembre 2012

Slide per gli studenti di tecnologie dell'istruzione

Per gli studenti di tecnologie dell'istruzione
Ho pubblicato ulteriori slide che potrebbero esservi utili (anche se ovviamente non sostituiscono i testi).
L'elenco al momento è questo:
Cybercultura (http://www.slideshare.net/filoan/cybercultura)
Ipertestualità (http://www.slideshare.net/filoan/ipertestualit)
Videogiochi (http://www.slideshare.net/filoan/felini-video-game-education)
Web 2.0 (http://www.slideshare.net/filoan/le-risorse-del-web-20-1)
Analisi siti (http://www.slideshare.net/filoan/analisisitiforss).

Buono studio!

mercoledì 28 novembre 2012

Vi chiedo di raccontare una storia


Per le studentesse e gli studenti di Didattica a.a. 2012-2013


Sto inserendo, di fronte ai vostri occhi, questo post...come appena concordato pubblico quanto deciso.
Nella vostra storia di studenti avete avuto modo di incontrare e lavorare con una molteplicità di maestre/i, professoresse e professori. Sono personalmente convinto, ma potrei argomentarlo, che avete elaborato a partire dalle vostre esperienze, in modo più o meno consapevole, una visione dell'insegnamento e che tale visione sia, come criterio guida per la vostra futura professione, molto più efficace ed incisiva di certe forme di conoscenza delle teorie/metodologie didattiche. Allora il primo passo da fare potrebbe essere questo: vi va di raccontare, ripensando alle vostre esperienze di studenti, di quell'insegnante (non importa se l'incontro è avvenuto alle elementari o alle superiori) di cui conservate ancora oggi un ricordo positivo? Perchè, tra i tanti conosciuti, ricordate proprio lui? Come insegnava?

martedì 27 novembre 2012

D'Onofrio/Clip claxon

Giovedì prossimo, 29 novembre, all'interno del Laboratorio di tecnologie dell'istruzione (ore 14.15, aula H, II edificio polifunzionale dell'università del Molise, sede di Campobasso) interverrà il prof. Luigi D'Onofrio per presentare il software Clip Claxon e altre risorse digitali per la didattica speciale. Tutti gli interessati possono ovviamente partecipare.
Questo è l'indirizzo del post di presentazione di Clip Claxon sul blog del prof. D'Onofrio:
A questo indirizzo è possibile scaricare Clip Claxon:

martedì 20 novembre 2012

Antonio Brusa a Campobasso

Il 21 novembre alle ore 16.30. presso la biblioteca dell'Istituto Comprensivo Statale "F. Jovine" di Campobasso (via Friuli Venezia Giulia, tel. 0874405760) si terrà l'iniziativa "Ogni storia è un gioco". Incontro con il prof. Antonio Brusa dell'Università degli studi di Bari, introdotto da Rossella Andreassi. Verrà presentato il libro Piccole storie 1. Giochi e racconti di preistoria per la primaria e per la scuola dell'infanzia (edizioni la Meridiana, Molfetta 2012).    

domenica 11 novembre 2012

LIM all'UNIMOL

Mercoledi scorso, 7 novembre 2012, è stata installata, nell'aula S al terzo piano del secondo edificio polifunzionale, quella che credo sia la prima lavagna interattiva della sede di Campobasso dell'Università del Molise grazie al progetto Tu fai la differenza coordinato dal prof. Fabio Ferrucci.
Ecco la foto:

giovedì 1 novembre 2012

Una faccia al giorno: 365facesproject


Per gli studenti del Laboratorio di metodologia del gioco e dell'animazione
Loredana Lipperini segnala in un suo articolo (La Repubblica del 21 ottobre 2012 a p. 47) il blog di Anja Brunt. Si tratta di un interessante esempio di blog fotografico ed è nato, approccio noto ma non diffusissimo, come blog "a termine". La sua sfida infatti (ed anche questo è una aspetto ludico) consiste nell'inserire ogni giorno per 365 giorni una "faccia" trovata o realizzata in modo diverso. Come avrete modo di vedere, la sfida è già stata vinta. La soddisfazione, tuttavia, deve essere stata tale da spingere ad un rilancio: l'obiettivo ora è di raggiungere le 1001 "facce".
Il prossimo incontro vi parlerò e vi mostrerò un bellissimo libretto di Bruno Munari, che potrebbe per certi essere considerato un ispiratore del blog della Brunt. Il libretto è intitolato Alla faccia! (Corraini, Mantova 2007) e consiste tutto in una lunga serie di visi disegnati nei modi più diversi che hanno ben poco a che fare con le modalità tradizionali del ritratto. Munari ha proposto anche altri giochi in cui il modo di disegnare e vedere il volto è centrale (Guardiamoci negli occhi, Corraini, Mantova 2008). Il discorso sul ritratto e sulla ludobiografia sarà da riprendere, intanto, nella convinzione che il blog 365facesproject sarebbe piaciuto tantissimo anche a Munari, vi invito a visitarlo: può ispirare anche voi.
Questo è l'indirizzo:

mercoledì 24 ottobre 2012

Huizinga, Homo ludens

Sempre per gli studenti del corso di Metodologie del gioco e dell'animazione, ecco le slide relative a Huizinga, Homo ludens.
Questo è l'indirizzo:

martedì 23 ottobre 2012

Caillois, Gli uomini e i giochi

Per gli studenti del corso di Metodologia del gioco e dell'animazione
Pubblico, come promesso, le slide relative a Caillois, Gli Uomini e i giochi.
Questo è l'indirizzo:

domenica 21 ottobre 2012

Empatia/Boella

Il gioco Empatie digitali richiama, visto il successo e l’ambiguità del termine empatia, una adeguata introduzione. Note da Laura Boella, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Cortina, Milano 2006.

Definizione di empatia
"l'empatia è l'atto attraverso cui ci rendiamo conto che un altro, un'altra, è soggetto di esperienza come lo siamo noi: vive sentimenti ed emozioni, compie atti volitivi e cognitivi" (p. XII ).

Potenzialità dell'empatia
Da un lato il discorso sull'empatia potrebbe essere scontato: siamo inseriti in un contesto in cui le relazioni costituiscono sin dall'origine un dato ineliminabile e può esser considerato intuitivo che le persone con cui abbiamo a che fare siano simili a noi.  Vanno però considerate potenzialità che possono anche essere o non colte o tradite: "Certo, occorre ripeterlo, ognuno di noi si trova in un contesto intersoggettivo, cioè in una rete di scambi e relazioni sociali, ognuno di noi appartiene a una comunità di lingua e di tradizione prima del suo concreto incontro con un altro. È tuttavia necessario, forse, riscoprire un dato di fatto: che l'incontro concreto [...] aggiunge qualcosa di nuovo, non si limita cioè a rendere esplicito il vincolo che ci lega agli altri"(p. XXVIII).

Cosa non è l'empatia
Non è la simpatia: c'è differenza tra  empatia e simpatia (l'empatia è condizione di possibilità della simpatia) ( p. 11-12).
Non è un sapere congetturale, non è una magica comunicazione di anime: uno dei meriti di Edith  Stein è di considerare l'empatia come "il fondamento di tutti gli atti (emotivi, cognitivi, volitivi, valutativi, narrativi ecc.) con cui entriamo in rapporto con un'altra persona" (p. 21). Viene così ad essere superato la sterile alternativa tra empatia come "forma di sapere congetturale" da un lato ed empatia come "magica comunicazione delle anime" dall'altro” (p. 21).
Non è una forma di immedesimazione:  "empatia vuol dire allargare la propria esperienza, renderla capace di accogliere il dolore, la gioia altrui, mantenendo a distinzione tra me e l'altro, l'altra. Empatia è "rendersi conto", cogliere la realtà del dolore della gioia di altri, non soffrire o gioire in prima persona o immedesimarsi" (p. 24).
Non è una intuizione: c'è un processo, un movimento empatico che implica prima l'emozione dell'incontro, poi un immaginare e comprendere, e infine una trasformazione di sé (pp. 28-29).

Il processo dell’empatia
Empatia e incontro:  importanza ma anche limiti del volto (in tal senso Boella  critica Lévinas perché il suo è un volto indefinito, pp. 42-43).
Ci si trova comunque di fronte ad un processo paradossale, perché l'empatia è paradossale:  “L’empatia mi mette in contatto sensibile, mi rende accessibile qualcosa di inaccessibile, a volte di incomprensibile” (p. 44). Tuttavia va tenuto conto che si possono ritrovare espressioni identiche in culture diverse: “le espressioni di gioia, dolore, paura, ira, sorpresa, disgusto, tristezza, sdegno hanno un loro universalità o perlomeno alcune di esse sono uguali in tutte le culture” (p. 46. Il riferimento è a P. Ekman).
Rimane aperto il problema centrale se davvero possiamo conoscere cosa prova un altro: è questa la domanda fondamentale chiaramente formulata (p. 64). Interessante la posizione della Boella “ “mettersi nei panni dell’altro” vuol dire sperimentare se stessi al di là delle vie battute, al di là dei propri confini” (p. 67). in definitiva l’empatia più che una una ricostruzione ipotetica dell’altro è riflessione e sperimentazione della propria identità: “L’incontro con l’altro non è il mistero della comunicazione delle anime. Significa innanzitutto rendersi conto di ciò che si è modificato in me  o ho scoperto  di me, a partire dal momento in cui la gioia, il dolore di un altro ha "mosso" la trasmissione del sentire tra me e lui” (pp. 72-73). 

Formare all’empatia
Non servono tecniche, ma sicuramente forme di pratica: “sbagliato sarebbe pensare all’apprendimento di una serie di tecniche, anche se di fatto l’empatia richiede esercizio, impegno, deve essere coltivata come un’essenziale capacità umana” (pp. 90-91).
L'esercizio dell'empatia si configura quindi come riflessione-revisione della propria identità: "Esercitarsi all'empatia significa innanzitutto essere chiamati a un esercizio con se stessi, a correggere e a completare la percezione che ognuno ha di sé, arrivando ad accettare anche la novità e la durezza di possibilità di essere , provenienti dall'altro, che possono entrare in conflitto o indebolire l'idea che, a volte con fatica ci siamo fatto di noi, ma che non possiamo assolutamente escludere siano presenti nella nostra profondità più intima oppure possano un giorno stravolgere la costruzione operosa della nostra identità" (p. 96). Empatia insomma come correttivo a forme narcisistiche di riflessioni troppo centrate su di sé.

domenica 14 ottobre 2012

Gli animali di Enzo Mari

I viaggi di lavoro lasciano sempre qualche ora libera. Ne ho approfittato qualche mese fa a Milano per una visita al negozio di Danese con l'obiettivo di regalarmi un gioco: i 16 animali di Enzo Mari  prodotto per la prima volta nel 1957 (non ero ancora nato). Gioco costoso, ma bellissimo: non so quanto davvero utilizzato da bambini. Comunque un'idea quella del puzzle (in questo caso composto di 16 animali, i cui elementi possono essere utilizzati singolarmente visto lo spessore del piano in legno utilizzato) che potrebbe essere ripresa in classe coinvolgendola nella stessa progettazione e costruzione del gioco. Qui le immagini:  
Ad  avere un cilindro in legno ed utilizzando il coperchio della scatola si potrebbe trasformare in realtà l'idea far fare l'altalena agli animali, come suggerisce lo stesso Mari in un suo libro più volte ristampato (Enzo Mari, L'altalena, Corraini, Mantova 2011, quarta ristampa). 

domenica 7 ottobre 2012

Damiano Felini - Video game education

Per gli studenti del corso e del laboratorio di metodologia del gioco e dell'animazione: parleremo, spero ampiamente, dei videogiochi. Vi indico, in relazione al testo adottato, alcuni snodi a cui prestare attenzione nello studiarlo...

Damiano Felini (a cura), Video game education. Studi e percorsi di formazione, Unicopli, Milano 2012.

Provo a procedere per punti:
Un primo aspetto è quello dei molteplici approcci che è possibile avere nei confronti dei videogiochi. Felini riprende una bella espressione aristotelica  e la applica ai videogiochi: il rapporto tra videogiochi ed educazione "si dice in molti modi". Ne individua cinque: rapporto tra video game e mondo giovanile; videogiochi come agenti di educazione implicita; tutela dei diritti dei minori; uso didattico dei video game; video game education (nella triplice dimensione del comprendere, fruire, produrre)  (pp. 11-13). Saper distinguere, cogliendone le specifiche peculiarità, più approcci è la premessa per sfuggire a banalizzazioni, purtroppo frequenti del tema, uscendo da contrapposizioni non utili alla effettiva comprensione del fenomeno.
In tal senso, secondo aspetto, è importante cogliere gli stereotipi legati ai videogiochi (Michele Aglieri e Giulio Tosone, Parlare per stereotipi. Luoghi comuni su videogiochi e educazione): sfuggire alla contrapposizione  tra uno stereotipo negativo ed uno positivo muovendosi verso tentativi di descrizione in qualche modo neutri può costituire un passo significativo.
Diventa quindi importante, terzo aspetto, individuare una serie di coppie concettuali che permettano di entrare nell''universo del videogioco: è possibile rinvenirle sia nel contributo di Aglieri e Tosone sia nel contributo di Massimiliano Andreoletti (Gioco e videogioco: riflessioni tra educazione e intrattenimento). Le coppie potrebbero essere così sintetizzate: gioco analogico/gioco digitale, videogiochi/corporeità, stimolo alla creatività/strumento ipnotico, solitudine/socializzazione, seduzione/educazione (a quest'ultima coppia possono essere affiancate quelle sinonime di divertimento/apprendimento e video game/seriuos game). 
La definizione superficiale di videogioco ("un gioco le cui regole sono gestite autonomamente da un dispositivo elettronico che utilizza un'interfaccia uomo macchina basata su un display come sistema di output", p. 42), quarto aspetto, è comunque indispensabile premessa per coglierne i tratti. Andreoletti segnala in tal senso l'interazione, la simulazione e l'immersione (nelle sue vari tipologie e livelli) come caratteristiche del videogioco. Passando alle pratiche di gioco, dimensione fondamentale che se trascurata corre il rischio di lasciare il videogioco in un limbo indefinito, viene proposta la distinzione tra esplorazione (processo di conoscenza e comprensione delle regole che governano l'azione ludica) e padronanza (percorso con cui il soggetto riesce a governare tali regole) ( (pp. 45-47).
Un quinto aspetto, di grande interesse, è il rapporto tra gioco ed interculturalità. Il contributo di Alessia Rosa (I videogiochi come palestra di sperimentazione valoriale) offrono significative considerazioni a proposito. Partendo da un un esame dei diversi significati dell'idea di valore, segnala come tale dimensione sia presente, ad esempio, sia pure in maniera scarsamente consapevole, nella creazione dell'avatar. La dimensione interculturale, comunque esplicitamente presente in alcuni giochi (Go west, Rescate) rimane una questione aperta: da un lato "l'esistenza di valori universali, che trascendono le differenze culturali, è oggi un'idea controversa", dall'altro "non è ancora chiaro come vengano percepiti i valori di un certo videogioco all'interno di realtà geografiche e culturali distanti" (p. 59) e permane comunque una sorta di "etnocentrismo videoludico" (p. 60) di fronte a potenzialità interculturali ancora inespresse.
Il sesto aspetto è legato all'analisi e alla valutazione dei videogiochi a cui possono essere ricondotti i due contributi di Felini (Analizzare videogiochi nel lavoro didattico e Rating e dintorni. Classificazione dei)  videogiochi e controllo parentalein cui è presentata sia una griglia di analisi basata su dieci aspetti (perché gioco a questo videogioco?; questo videogioco cosa mi propone di fare?; quali abilità questo videogioco mi propone di utilizzare?; la storia e i suoi personaggi; il fattore spazio/ambientazione; l'audio; la meccanica del gioco; il fattore tempo; l'interfaccia; lo sviluppo del senso critico) sia un quadro aggiornato su prerogative e limiti dei rating utilizzati per classificare i videogiochi.
Rimangono infine da segnalare il contributo di Angela Bonomi Castelli (Video game education: per quale formazione estetica?) e la sezione dedicata alle esperienze.
Qui le slide che userò a lezione: 
http://www.slideshare.net/filoan/felini-video-game-education.
Buon lavoro!

domenica 30 settembre 2012

Educare all’immagine e le pratiche degli insegnanti


L’approccio storico non è il mio tuttavia quando mi sono trovato tra le mani senza  alcun mio merito (uno dei soliti banchetti di libri dei mercatini estivi) il testo di Giuseppe Lombardo-Radice, La buona messe, Associazione nazionale per gli interessi del mezzogiorno, Roma 1926, ho intuito come tutta una serie di questioni hanno radici antiche. Lombardo-Radice difende l’importanza del disegno nella formazione del bambino verso posizioni che lo ritenevano del tutto accessorio, una specie di  lusso estetico, e lo difende con un approccio che non vuole il disegno come ripetizione di modelli standardizzati seguendo le linee e i quadretti stampati sui fogli. Interessante l’elenco delle funzioni affidate al disegno: “libero giouco a sfogo del bisogno di espressione che c’è nel bambino; […] eccellente stimolo allo spirito di osservazione; […] commento alle lezioni varie; […] educazione dell’autocontrollo intellettuale; […] preparazione alla scrittura; […] integrazione delle descrizioni, per ciò che non è facile o non giova esprimere a parole; e soprattutto come occupazione di riposo, a casa e in iscuola” (p. 12). L’aspetto che mi stupisce, e che chiaramente va collocato nel contesto del tempo, è come nonostante si voglia promuovere una educazione all’immagine, quest’ultima sembra rimanere limitata, per tanti aspetti, ad una dimensione ancillare, di riposo e di sfogo.
Un altro aspetto, che non mi aspettavo di trovare, è lo scarto tra pratiche didattiche e riflessione pedagogica di natura accademica, scarto espresso in un modo decisamente netto e diretto: “Singolar cosa l’assenza dei pedagogisti italiani nelle esperienze didattiche nuove, salvo rarissime eccezioni. Anche quelli che da sé si qualificano sperimentalisti  quali esperienze hanno compiute o indirizzate? Zero! La nuova pedagogia italiana ha i suoi veri e soli pedagogisti nei maestri, ai quali i signori delle cattedre non faranno mai posto nelle loro storie della pedagogia e dell’educazione!” (p. 26).   

domenica 23 settembre 2012

Un numero di Form@re sui video

Pochi giorni fa è stato pubblicato il nuovo numero di Form@re, curato da Giovanni Bonaiuti dell'Università di Cagliari, su Video digitali e formazione. Segnalo per i colleghi molisani la presenza, all'interno del numero, di riferimenti a quanto realizzato da scuole molisane: il Circolo San Pietro Celestino di Isernia e la scuola media "Montini" di Campobasso.
Questo è l'indirizzo:
http://formare.erickson.it/wordpress/it/category/2012/n-79-maggiosettembre/.

domenica 12 agosto 2012

Tra avatar e ritratti fotografici


Leggevo qualche giorno fa uno scritto di Pier Cesare Rivoltella sulle diverse tipologie di immagini utilizzate per realizzare il profilo in Facebook. Nella scelta dell’immagine che ci rappresenta due sono le possibili contrapposte strategie: la prima è la “identity performance, che colloca l’autore al centro della pagina e insiste sui contenuti della pagina stessa come legati all’esperienza e alle competenze dell’autore”: prevale la logica di riconoscibilità  e visibilità. La seconda è la “identity erasure, che gioca invece sul mascheramento, sull’identificazione del proprio volto attraverso la sua sostituzione o negazione“(Pier Cesare Rivoltella, Il volto “sociale” di Facebook. Rappresentazione e costruzione identitaria nella società estroflessa, in Vinci D. (a cura), Il volto nel pensiero contemporaneo,  Il pozzo di Giacobbe, Trapani  2010, p. 514, reperibile on line all’indirizzo http://it.scribd.com/doc/87546192/Il-volto-sociale-di-Facebook). Nel caso della prima strategia si tratta comunque di un ritratto e di un ritratto realizzato con una macchina fotografica digitale. Questo apre ulteriori prospettive di indagine. Roland Barthes - che avrebbe apprezzato, viste le sue affermazioni sulla Polaroid, la fotografia digitale - ricorda la sua esperienza di soggetto fotografato: “Molto spesso però (troppo per i miei gusti) sono stato fotografato sapendo che lo ero. Orbene, non appena io mi sento guardato dall’obiettivo, tutto cambia: mi metto in atteggiamento di «posa», mi fabbrico istantaneamente un altro corpo, mi trasformo anticipatamente in immagine” (Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino 2003, p. 12). E da qui seguono le molteplici identità presenti nella medesima immagine: “Davanti all’obiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede che io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”  (p. 15). 

domenica 29 luglio 2012

Riletture estive: Faeti, Guardare le figure


Antonio Faeti, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, Donzelli, Roma 2011
Una nota
Ieri è stata una giornata molto particolare, ma per distrarmi sono riuscito a terminare la rilettura della nuova edizione del bellissimo libro di Faeti ed ora posso mettere nella mia piccola biblioteca l’edizione della Donzelli accanto a quella originale del 1972 realizzata dall’Einaudi. La storia della letteratura per l’infanzia non è il mio ambito di ricerca, ma il discorso sull’uso delle immagini ha una portata che va ben al di là di studi storico-letterari. L’aspetto che mi ha colpito con forza è l’autonomia che il linguaggio delle immagini può avere nei confronti del testo a cui fa riferimento andando ben oltre una funzione didascalica: “I primi figurinai offrono, infatti, un prodotto contradditorio, realizzano opere che sembrano adatte a perseguire uno scopo, mentre possono ottenerne uno assai diverso. Mazzanti, per esempio, illustra alcuni dei libri più rigidamente inseriti nell’ambito della severa pedagogia italiana della fine del secolo, ma riesce a contrapporre, al contenuto dei testi, una sua visione alternativa che si rifà graficamente al deposito di simboli sui quali si basavano le stampe popolari” (p. 7 ma anche p. 27 e p. 44). Questo è un discorso interessante perché - di fronte all’attuale pervasività delle immagini, ed è un segnale che gli studiosi di storia della letteratura dell’infanzia si occupino di immagini – c’è stato un periodo in cui l’immagine ed il suo uso didattico-pedagogico veniva in definitiva osteggiata: “All’epoca di Mazzanti e Chiostri, l’illustratore del libro per l’infanzia “fruiva” di un’emarginazione che poteva risultare benefica e protettiva, almeno nei riguardi del suo lavoro. Le piccole immagini, non molto frequentemente sparse tra le pagine dei volumi editi alla fine dell’Ottocento, erano semplicemente tollerate dal pedagogico sussiego degli autori ai testi, che temevano di vedere “abbassato” o “tradito” il tono letterario dei loro volumi. Si pensava ancora ad un indottrinamento dell’infanzia, condotto soprattutto in termini verbali; lo spazio visivo concesso ai bambini era considerato quasi un dono, graziosamente elargito per poi richiedere una più attenta lettura del libro” (p. 358). Mi chiedo ancora oggi quanto una certa mentalità ottocentesca sospettosa nei confronti dell’immagine sopravviva e quanto ulteriore spazio servirebbe per una educazione all’immagine.  

domenica 22 luglio 2012

Il futuro della ricerca pedagogica

Ringrazio Laura Fedeli per avermi annunciato la pubblicazione degli atti del convegno  "Il futuro della ricerca pedagogica e la sua valutazione" svoltosi presso l'Università degli Studi di Macerata (AA. VV., Il futuro della ricerca pedagogica e la sua valutazione, Armando, Roma 2012, collana Quaderni della rivista Education Sciences & Society, ISBN 978-88-6677-029-9). Alcuni contributi sono disponibili on line all'indirizzo http://www.unimc.it/eduresearch/atti-convegno/. Il contributo dedicato al tema Nuove tecnologie, metodo etnografico e strategie narrative (pp. 203-212) è disponibile all'indirizzo http://www.unimc.it/eduresearch/atti-convegno/atti/BRUNI.pdf.

lunedì 25 giugno 2012

Turkle: ambiguità della solitudine


Sherry Turkle Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Codice edizioni, Torino 2012
Appunti di lettura
La Turkle scrive, come sempre, cose interessanti  e ben documentate, ma, a differenza di altre volte, forse perché il mio punto di vista e il mio approccio alle tecnologie sono stati, senza mio merito, più cauti e prudenti, mi trovo ad avere alcune perplessità.
La tesi del libro è, in sintesi, molto semplice. La prima parte è dedicata ai robot sociali e se ne critica l’uso in quanto non possono sostituire l’autenticità delle relazioni viso a viso. La seconda esamina in modo documentato  l’uso di cellulari, SMS, servizi di messaggistica e social network per concludere che, nuovamente, si sta perdendo l’autenticità delle relazioni umane. Il fatto di essere sempre connessi ci porta ad un fraintendimento dei rapporti: non vediamo l’altro in tutta la sua ricchezza, lo riduciamo alle nostre esigenze ed in realtà ci troviamo a vivere una solitudine intesa come isolamento.  L’impressione è quella di un lavoro scritto in reazione ad una forma di saturazione da tecnologie digitali. La saturazione da tecnologie digitali ha offerto lo spunto per individuare una serie tratti negativi che ha portato ad un ripensamento, sia pure parziale, rispetto a posizioni precedentemente formulate: “Dieci anni fa sostenevo che la fluidità, la flessibilità e la molteplicità delle nostre vite sullo schermo incoraggiassero il genere di sé che Robert Jay Lifton definisce proteiforme. Continuo a pensare che sia una metafora utile, ma il sé proteiforme è messo a rischio dalla persistenza delle persone e dei dati: la sensazione  di essere proteiforme si basa su un’illusione di un futuro incerto. L’esperienza di essere al computer o al cellulare sembra così privata che è facile dimenticarsi  quale sia la condizione reale: a ogni connessione lasciamo una traccia elettronica.  Analogamente, ho sostenuto che internet fornisca agli adolescenti degli spazi in cui giocare con l'identità relativamente privi di conseguenze, spazi che secondo Erick Erikson i giovani devono avere. La persistenza dei dati e delle persone mina anche questa possibilità” (p. 326).
Le osservazioni della Turkle sono, da un lato, da prendere in considerazione in quanto evidenziano una serie di questioni aperte come la privacy, la persistenza dei dati, la natura delle relazioni umane..., dall’altro pongono alcune questioni.
La prima è quella della ciclicità. Sicuramente, come molto ben mostrato recentemente da Maria Ranieri, va evitata una retorica tecnocentrica con le connesse forme di infatuazione per mode digitali. Viene però da chiedersi  se sia possibile sfuggire da forme marcate e ripetitive di oscillazione tra entusiasmi e delusioni procedendo per piccoli tentativi ed errori, progressivi aggiustamenti, intrecciando sperimentazioni  e riflessioni, uscendo così non semplicemente dalla retorica tecnocentrica ma dalla retorica in quanto tale.
La seconda è relativa al determinismo tecnologico. Siamo proprio sicuri che lo scadere dei rapporti umani, tanto dettagliatamente descritto dalla Turkle, sia imputabile solo ed esclusivamente alle tecnologie digitali? Senza cellulari e computer di nuovo gli adolescenti si ritroverebbero a parlare nella piazza del quartiere? E  nelle famiglie a cena si ritroverebbe quel dialogo tanto auspicato? E rinascerebbe la tanto giustamente evocata attenzione da parte dei genitori nei confronti dei loro figli? Forse un approccio ecologico, in cui le tecnologie digitali sono solo un elemento da prendere in considerazione, potrebbe  essere  più opportuno non solo per comprendere quanto accade ma anche per pensare a nuovi percorsi.
La terza osservazione è relativa infatti alle prospettive. Sono sicuramente interessanti e stimolanti i riferimenti a Thoreau e un Walden 2.0. Può essere condivisibile l’osservazione secondo cui “Il mio studio sulla vita in rete mi ha fatto riflettere a lungo sull’intimità: sullo stare con gli altri dal vivo, sentire le loro voci e vedere i loro volti, nel tentativo di conoscere il loro cuore. E mi ha lasciato con il pensiero della solitudine, quella che rinfranca e ristora” (pp. 362-363). Forse tutti vorremmo, come Thoreau, vivere un paio di anni in mezzo ai boschi camminando nella natura incontaminata. Il punto è, e la Turkle se ne rende conto, che non  si risolvono i problemi con la nostalgia del tempo che fu. E per quanto forme individuali di resistenza, piccoli gesti ed accorgimenti possono essere segnali importanti, la soluzione non può essere solo quella, proposta con maestria e garbo nella conclusione del volume, di riprendere a scrivere lettere ai propri cari lontani con carta e penna…            

mercoledì 20 giugno 2012

Babbo Alfabeto

Una rapida visita, durante la pausa di un convegno, alla libreria Malavasi di Milano mi ha permesso di trovare una copia in ottime condizioni di Babbo Alfabeto. Alfabetario figurato a lettere mobili (l'editore sembra essere Donati, materiale didattico-scolastico, Milano, ma è stampato dalle Poligrafiche Bolis a Bergamo, senza indicazioni di data). Ciascuna lettera dell'alfabeto è stampata su un piccolo foglietto in più copie ed inserito in un taschina con un'immagine ed il relativo termine. Sul fondo una lunga tasca in cui comporre le parole. Mi chiedo se sarebbe ancora utilizzabile oggi...

domenica 10 giugno 2012

Classi 2.0/Molise/Primarie/Scuola Primaria Ciafardini di Trivento


Sto lavorando al report finale per classi 2.0 in Molise e così mi sono ritrovato a leggere gli appunti della visita alla scuola primaria Ciafardini di Trivento. Hanno scelto, per evitare il dilemma tra netbook e tablet, problema che anche altri colleghi hanno dovuto affrontare, una macchina particolare, l'acer iconia tab (questa è la foto: https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/10Giugno201202#5752462615434659490):  lo schermo può essere staccato dal corpo macchina ed essere autonomamente utilizzato come tablet. Vedere gli studenti mentre lo utilizzavano è stato interessante: i banchi erano riuniti in isole per poter lavorare in gruppo e le insegnanti offrivano consulenza agli studenti nell'uso del software. Hanno realizzato un cruciverba utilizzando hotpotatoes coinvolgendo nella soluzione l'intera classe. Il tutto all’interno di un lavoro sul parco nazionale d'Abruzzo, unendo in un medesimo lavoro scienze, italiano e competenze digitali. Le attività sono state documentate con un apposite pagine web (https://sites.google.com/site/clsse20trivento/) all’interno del sito dell’istituto  (http://www.circolodidatticotrivento.it/Principal/pagina_principale.htm).Ecco l'indirizzo delle foto: https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/10Giugno201202. I più vivi complimenti alla dirigente, alle colleghe e agli studenti! Un grazie particolare per il saluto degli studenti sul tablet (https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/10Giugno201202#5752463239667138738)!

domenica 27 maggio 2012

Un numero di Form@re sulle LIM

Corretti alcuni piccoli refusi è on line nella sua versione definitiva il numero di Form@re su "LIM: buone pratiche e valutazione". Un ringraziamento va alle autrici e agli autori: Ilaria Salvadori, Simonetta Leonardi, Elisabetta Nanni, Giacomo Guaraldi, Elisabetta Genovese. Grazie anche a Pierfranco Ravotto, a Valerio Eletti e tutta la comunità di Bricks per l'aiuto ricevuto.

domenica 20 maggio 2012

Classi 2.0 in Molise. Il racconto di Paola Lonzi


Grazie a al progetto Cl@ssi 2.0 ho avuto ulteriori occasioni di conoscere e collaborare con le scuole e gli insegnanti del Molise. Nei prossimi giorni, in piena sintonia con L'USR e con la sede regionale dell'ANSAS, è prevista una ulteriore serie di incontri prima della fine, ormai prossima, dell'anno scolastico. Sto ovviamente riflettendo, e spero di aver modo di farlo insieme a tutti coloro che a vario titolo sono stati coinvolti, sul senso e sui risultati delle esperienze realizzate. In un incontro a Termoli, incontro per cui avevo chiesto di produrre racconti di pratiche di insegnamento, la prof.sa Paola Lonzi mi ha portato, permettendone la pubblicazione, il racconto che riporto - integralmente e come pervenutomi - qui sotto.
Sono convinto che tanti altri insegnanti abbiano avuto esperienze simili e possano raccontare le loro pratiche. Nell'attesa di altri racconti, ringrazio la prof.sa Paola Lonzi per essersi rimessa in gioco e aver dato la disponibilità a condividere on line quanto realizzato. Uno degli aspetti di cl@ssi 2.0 su cui ragionare sarà anche, oltre all'apprendimento degli allievi, quanto gli insegnanti hanno appreso e quanto hanno modificato le loro pratiche.
Grazie ancora e buona lettura!


A DUE ANNI DALLA PENSIONE, SI RICOMINCIA: CL@SSI2.0   -   Paola Lonzi, ex docente di Arte e Immagine
La scuola media di Montenero di Bisaccia ha solo tre corsi, per cui, essendo io una e trina , non ho avuto possibilità di scampo: nel 2009, a due anni dalla pensione, sono dovuta emigrare verso un mondo a me quasi del tutto sconosciuto, con un miserrimo bagaglio di conoscenze digitali  (sapevo accendere il computer, usare le funzioni fondamentali di un programma di video scrittura e collegarmi a internet), ma con qualche atout: dieci anni in una scuola sperimentale; predilezione per il tempo prolungato sempre soddisfatta; abitudine consolidata all’attività laboratoriale, alla lezione collettiva, alla costruzione di percorsi di lavoro guidati; non ultimo, una disciplina che si presta. Inoltre, sono una persona curiosa che non si è mai vergognata né di dichiarare la propria ignoranza né di chiedere aiuto a chi è competente.
Chiarito fin da subito che non avrei dovuto insegnare l’uso del computer, sono partita più per spirito d’avventura che per senso del dovere (che pure non mi manca): nessuno, infatti, avrebbe potuto costringermi all’espatrio, anche se il Consiglio di Classe aveva accettato di partecipare alla sperimentazione.
Approdata in terre misteriose, ho incontrato nativi competenti, orgogliosi della loro cultura e disponibili a trasmetterla (anche se non sempre con modi urbani: “Noooooo ma che cosa fa?! “, “Ma schiacciaaaa”, “Complimenti: non sta attenta e ha cancellato tutto”), paternalisticamente gratificanti. Quello che segue è il mio primo post sul blog della classe:

Per mandarvi il mio saluto ha fatto tutto la professoressa D'Angelo (io sto solo scrivendo). Domanda: riuscirò mai a fare tutto da sola, nel chiuso della mia stanzetta? Sono aperte le scommesse. Prof.ssa Lonzi   (dicembre 2009)
1.         simona ha detto...     io credo che lei sia troppo brava!      Descrizione: http://img1.blogblog.com/img/blank.gif
2.        francesca pia ha detto...    scommetto 1000 euro (finti)che non ce l'ha farà
3.        kevin ha detto...      io credo che lei sia una brava professoressa come carattere ecc.
4.        sara ha detto...        lei é una brava insegnante e sa spiegare molto bene
5.        erika ha detto...      io penso che con tutto il suo impegno c'è l a puo fare
6.        francy benedetto ha detto...     prof io scommetto una ciambella di suo marito (anche per far    felice Lorenzo)!!!!!!!  che cosa ne pensa??????????????  aspetto una risposta entro breve.*
7.        theo ha detto...        io ne scommetto 10.000.000 pero (finti)
8.        francesca pia ha detto...          non credo proprio che ce la fara

*a  Francesca non ho potuto rispondere perche non ne ero capace

Questi, invece, sono i commenti a una piccola animazione realizzata –a casa- seguendo le loro indicazioni, e postata sempre dalla prof.ssa D’Angelo (aprile 2010)
1.         Davide enigmatico ha detto...      Complimenti, professoressa Lonzi!!!!!!!!*_* +_+
-_- "_" £.£ $.$ @.@ #.# §.§
2.        wang wen ha detto...         Complimenti Descrizione: http://img1.blogblog.com/img/blank.gif
3.        lonzi ha detto...             Sto ancora asciugandomi il sudore.
4.        Gianpy ha detto...         complimenti sa usare il computer meglio di noi
5.        Prof. Rina ha detto...    ..quale voto dare?!!?! Non è di parte ma sinceramente un "10" lo meriti.COMPLIMENTI!!!!
6.        la prof di matematica ha detto...     la prof deve montare i film non montarsi la testa!!!!
7.        francesca benedetto ha detto...       complimenti vivissimi alla professoressa Lonzi!!!
8.        erika ha detto...           wow professoressa è stupendo!!!

In questi due anni (soprattutto nel secondo), ho fatto uso molto spesso delle risorse digitali. Seguendo le indicazioni dei ragazzi e della referente –prof.ssa D’Angelo- , e andando per prova ed errori, sono riuscita a:
        
          -  usare la rete come fonte a cui attingere filmati, audio, visite virtuali a musei, siti archeologici…
  -  realizzare  semplici ipertesti e presentazioni sia su argomenti di Storia dell’Arte sia sul Linguaggio Visivo
  - utilizzare la LIM per costruire lezioni di cui conservare memoria; per scrivere, disegnare, allegare immagini,         visualizzare   testi, riprodurre video o animazioni; per proiettare gli elaborati grafico-pittorici dei ragazzi, da sottoporre ad analisi critica guidata.

 Non fossi andata in pensione, dove sarei potuta arrivare?!

domenica 29 aprile 2012

Per M.N. Due albi illustrati per l’intercultura



Vista la condivisa passione per gli albi illustrati, segnalo gli ultimi due che ho avuto modo di leggere/vedere e che sono accomunati dal fatto di poter essere usati per un percorso dedicato all’intercultura. Il primo – che, a mia vergogna, ho letto solo ora, è piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni (Babalibri, Milano 2011, ma l’originale è del 1959): una metafora visiva (per quanto sia presente il testo scritto, le immagini non hanno una funzione didascalica…) su come l’entrare in relazione crei qualcosa di nuovo e modifichi l’identità di chi si incontra. Il secondo, L’approdo di Shaun Tan (Elliot, Roma 2011), è il migliore esempio che mi sia capitato di incontrare di come sia possibile narrare, esprimendo in maniera assolutamente dettagliata una lunga serie di emozioni e di  situazioni, utilizzando solo ed esclusivamente immagini. La storia, dall’esito felice, è quella di un migrante che, alla fine, si ricongiunge alla sua famiglia.       

martedì 10 aprile 2012

Per F.C. Ad occhi aperti

Gentile F.C. , pensando alla sua tesi sul libro pop-up, ho avuto modo di leggere un volume che credo possa essere anche per lei interessante: Hamelin, Ad occhi aperti. Leggere l’albo illustrato, Donzelli, Roma 2012. Si tratta di una raccolta di saggi di più autori (Hamelin è il nome dell’associazione culturale cha ha promosso la pubblicazione). Le segnalo i passaggi che credo essere più significativi per il suo lavoro.

1. Diversità tra la visione adulta e quella infantile in relazione alle immagini e ai testi. Per l’adulto “i contenuti vengono spesso associati alla sfera del testo, mentre tutto ciò che è forma, immagine, viene ascritto, secondo una gerarchia discendente, a un ambito più “frivolo”, quello dell’esperienza estetica” (Ilaria Tontardini, Meccaniche celesti: come funziona un albo illustrato, p. 24). Dall’ altro lato, “i bambini conoscono la forma e il senso delle cose come un’unica informazione indistinta” (ibidem). L’osservazione potrebbe essere ripresa in relazione al rapporto testo/immagine nel libro pop-up.

2. Criteri di analisi. Sempre nel saggio della Tontardini: si propone una interessante scansione in relazione all’analisi/fruizione dell’albo illustrato: prendere e toccare, sfogliare, guardare e (è) leggere, raccontare/raccontarsi. In qualche modo può essere applicata anche ai libri pop-up?

3. Ancora sul rapporto tra immagini e testo. Due fondamentali tendenze. La prima: ”comprendere le immagini che accompagnano le parole allo scopo di rendere visibile, ovvero sensorialmente esperibile, quanto evocato dalle parole” (Martino Negri, Parole e figure: i binari dell’immaginazione, p. 61). La seconda: “le immagini sono portatrici di informazione ulteriori rispetto a quelle presenti nel testo verbale” (ibidem). Di nuovo: come queste considerazioni possono essere riprese in relazione al libro pop-up?

4 Komagata. Sul bellissimo libro pop up di Komagata, Little tree, le segnalo le osservazioni di Roberta Colombo, Sulla natura, pp. 228-230.

Buona lettura e buon lavoro!

venerdì 6 aprile 2012

Esicasmo

“La parola “esicasmo” deriva dal termine greco “esychìa”, che letteralmente significa riposo, pace spirituale, quiete inferiore. Il verbo “hesychàzo” si riferisce ad un monaco che vive in solitudine e in silenzio, che conduce una vita centrata sulla preghiera, sulla sobrietà e sull’attenzione interiore. L’ideale dei padri esicasti viene programmaticamente delineato dal motto di Abba Arsenio: “Fuge, tace, quiesce!”. Seguendo le esortazioni di S. Paolo ai primi cristiani di “vivere in pace” […], di “condurre vita pacifica” […], gli esicasti intendevano condurre una vita separata dal mondo coltivando il silenzio e la pace dell’anima” (Alberto Temporelli, L’esperienza mistica e ascetica di Evagrio Pontico e la sua influenza sull’esicasmo, in "Hermeneutica", vol. 8, 1989, p. 341).

Certi modi di vivere, per quanto abbiano non solo un certo fascino ma anche un profondo significato, non credo possano essere attuati da tutti o per tutta la vita. Se però penso a tanti iperattivi inconcludenti, a certi campioni della chiacchiera fine a se stessa, a chi cerca costantemente di mettere il cappello sul lavoro degli altri, a coloro che hanno narcisismi formato extralarge, a quei bei personaggi che non sapendo fare amano “coordinare” chi invece ha effettivamente le competenze, a chi ha smanie di potere e di controllo, la mia simpatia per gli esicasti cresce… L’invito a vivere in pace va fatto in primo luogo a se stessi, ma, detto con grande affetto, penso che ne abbiano bisogno anche altri…

domenica 25 marzo 2012

Lettura come empatia

“Le letture migliori me le facevo in treno, nell’anonimato di sguardi indifferenti, nonostante l’incalzare dei cellulari e di voci troppo alte, e se qualche volta mi lasciavo andare a una chiacchiera o solo m’incantavo a guardare dal finestrino, le parole del libro prendevano forma davanti ai miei occhi, richiedendo tutta la mia attenzione. Leggere è forse questo, penetrare nel mondo dell’altro e starci come a casa propria, se leggere era questo, il leggere mi aveva condotto in luoghi sconosciuti” (Anna D’Elia, Nello specchio dell’arte. Figure autobiografiche, Meltemi, Roma 2004, p. 89).

Viaggiando (e leggendo) in treno questa idea della lettura che mette insieme viaggio (reale e metaforico), empatia e lettura mi intriga…

lunedì 12 marzo 2012

Per i docenti del corso su sistema scolastico (Vasto 13 marzo 2012)

Per i docenti del corso sul sistema scolastico (Vasto 13 marzo 2011)


Spero che quando leggerete questo post sia già stato tutto spiegato. Comunque ricordo la proposta laboratoriale per questo incontro. L'invito consiste in primo luogo nel raccontare le vostre pratiche d'uso di internet utilizzando la scala Forrester. In quale livello vi collocate? Secondo invito: come utilizzate le tecnologie digitali all'interno delle vostre pratiche di insegnamento? Terzo ed ultimo invito: come vorreste utilizzarle?

Buona scrittura!

A. la scala Forrester

1. Creatori quelli che pubblicano on line creando blog, pagine web...

2. Partecipanti critici che commentano e discutono on line

3. Partecipanti collezionisti che collezionano contenuti di vario genere

4. Partecipanti che usano social network (es: facebook)

5. Lettori simpatizzanti che leggono, sentono e visionano contenuti on line

6. Inattivi

B. Come usate le risorse digitali nelle vostre pratiche di insegnamento?

C. Come vorreste usarle?

lunedì 27 febbraio 2012

Per chi insegna (e per chi fa ricerca su come insegnare meglio)

“Sotto il profilo del “fare”, non c’è altri che possa sapere – più e meglio degli insegnanti – che cosa sia l’insegnamento. Siamo tuttavia di fronte ad un’affermazione, più che controversa, contraddetta dalla ricerca educativa, la quale – da sempre – ha guardato gli insegnanti in veste di “destinatari”. Peraltro, destinatari riottosi e recalcitranti, in larga misura dediti a rifiutare gli inviti a rinnovarsi rivolti loro, insistentemente, dai pedagogisti” (pp. 42-43). La prospettiva è quella di “legittimare la validità epistemologica del fare come forma di conoscenza, con sue proprietà, distinte ed originarie, ovvero né “applicate” né discendenti dalla “conoscenza teorica” (p. 43). Una risposta arriva da Piaget: “la conoscenza si produce mediante l’azione e all’origine della conoscenza c’è l’azione” (p. 48).

Elio Damiano, Factum et Verum convertuntur. Gli insegnanti come fonti della ricerca didattica, in "Education Sciences & Society", vol. 1, n. 1, pp. 41-51.

domenica 19 febbraio 2012

Usi ludici delle tecnologie

“Qualsiasi tipo di attività ludica, quella del bambino così come quella dell’adulto, consiste nell’investire un oggetto o una situazione di proprietà diverse da quelle che quell’oggetto o quella situazione hanno normalmente” Alberto Munari in Beba Restelli, Silvana Sperati, A che gioco giochiamo?, Corraini, Mantova 2008, p. 39.

“l’attività ludica […] serve anche per liberare la fantasia ed immaginare mondi diversi dal nostro, dove le ansie e i timori che la vita quotidiana può suscitare, soprattutto nel bambino, possono esprimersi, essere pensate e verbalizzate, senza le conseguenze anche gravi che potrebbero invece avere la loro esplicitazione nella vita “reale”” Alberto Munari in Beba Restelli, Silvana Sperati, A che gioco giochiamo?, Corraini, Mantova 2008, pp. 41-42.

Ho avuto pochi mesi fa il piacere di sentire Beba Restelli, l’allieva di Bruno Munari continuatrice del suo metodo laboratoriale, e sto ripensando alla risposta che mi ha dato. Avevo chiesto cosa avrebbe fatto Bruno Munari se avesse avuto dovuto proporre l’uso dei computer nei suoi laboratori. Visto quanto realizzato con i prelibri che in qualche modo preparano all’uso della “tecnologia” del libro, cosa si sarebbe potuto proporre in relazione al computer? La risposta è stata interessante: Munari non avrebbe avuto preclusioni nei confronti delle tecnologie digitali. La questione non sarebbe contrapporre realtà/virtualità, ma un uso creativo delle tecnologie, che si non si adegui alla finalità intrinseche ed ovvie dello strumento. Ha portato l’esempio dell’uso della fotocopiatrice: come tecnologia ha la finalità di riprodurre copie identiche all’originale. L’uso che ne ha fatto Munari va volutamente contro tale finalità sovvertendola alla radice: usare la fotocopiatrice per realizzare immagini originali (Bruno Munari, Codice ovvio, Einaudi, Torino 1971, pp. 105-108). L’osservazione è interessante e piuttosto che svilupparla nella direzione di un preoccupato esame dei rischi della confusione tra realtà e simulazione (il gioco di per sé crea luoghi e tempi – mondi – non veri…) varrebbe la pena ragionare sui possibili nuovi spazi che si aprono e su come riconoscerli e gestirli. Non c’è solo il videogioco ma anche un uso ludico di tecnologie e strumenti digitali poco esplorato…

martedì 14 febbraio 2012

Bricks

Questo blog nasce come blocco di appunti on line e non ha particolari pretese comunicative, tanto meno promozionali o auto-promozionali. Anche per questo non avevo mai inserito, come dovrebbe essere per un buon blog, un elenco fisso ad altri blog/siti. Ho letto però la richiesta di Pierfranco Ravotto di far conoscere Bricks (una comunità on line, una rivista...). e per quel poco che posso fare sono ben lieto di inserirlo come primo link di quest blog.

domenica 5 febbraio 2012

Classi 2.0/Molise/primarie/Circolo didattico S. Pietro Celestino di Isernia

Inizio ad aggiornare il post sui blog aperti dalle classi 2.o nel Molise. Avevo già pubblicato l'elenco dei blog delle scuole medie (http://unanotaasettimana.blogspot.com/2010/06/clssi-20-e-blog-in-molise.html). Segnalo ora quelli della scuola primaria, partendo dal circolo didattico San Pietro Celestino di Isernia che, utilizzando il portale edidablog, ha realizzato un blog decisamente ricco di video e foto. Questo è l' indirizzo:
http://blog.edidablog.it/blogs//index.php?blog=102. Il modo migliore per accedere è ovviamente dal sito del circolo (http://www.circolodidatticospc.it/) dove un apposito link porta alle attività specifiche della classe2.0: http://www.circolodidatticospc.it/1/classi_2_0_2113574.html. I video realizzati sono telegiornali in cui gli studenti figurano come speaker leggendo testi preparati in classe: meritano di essere visti. Nella prima edizione del 2/4/2011 si parla anche del progetto classi 2.0.

lunedì 30 gennaio 2012

Fink, gioco, pervasività e creazione di mondi

"parlare seriamente del gioco, e magari con la tetra serietà di chi cavilla sulle parole e spacca in quattro i concetti, in fin dei conti è una mera contraddizione e un brutto modo di rovinare il gioco" (p. 5)

Eugen Fink, Oasi del Gioco, Milano, Cortina 2008, a cura di Anna Calligaris

Ho avuto modo di leggere Oasi del Gioco di Fink: mi interessava riuscire a capire, prima della nascita e della diffusione dei videogiochi, se esistessero riflessioni che in qualche modo argomentassero la pervasività del gioco. L'opera di Fink risale al 1957, ben prima quindi della diffusione di massa del personal computer. A parte il bellissimo invito, espresso nella citazione sopra riportata, a parlare ludicamente del gioco, già dalle prime pagine emerge la convinzione dell'importanza del gioco: "L'attenzione per il gioco permea in misura sorprendente la coscienza di sé dell'uomo contemporaneo" (p. 3). Provando a schematizzare le argomentazioni a sostegno di una pervasività del gioco possono essere le seguenti:

1. Vanno evitate contrapposizioni del tipo gioco e lavoro: "Fino a quando [... si continuerà ad operare attraverso le antitesi ingenue di "lavoro e gioco", di "gioco e serietà della vita", e così via, il gioco non verrà compreso nel suo contenuto d'essere e nella sua profondità d'essere" (p. 10). Il gioco non può essere compreso tramite contrapposizioni che lo escludono da ambiti che invece attraversa.

2. La stessa funzione educativa del gioco non può portare a visioni riduttive e puramente strumentali (mi ricorda un passaggio di Dossena) (p. 11).

3. Il gioco, di conseguenza, non va ridotto alla sola dimensione infantile: bambini ed adulti, sia pure in maniera diversa, giocano entrambi: "Forse anche l'adulto gioca altrettanto, solo diversamente, più segretamente, più mascheratamente" (p. 12).

4. In tal senso il gioco pervade l'intera esistenza umana e non può essere considerato come forma marginale dell'esistenza: "Il gioco appartiene essenzialmente alla costituzione d'essere dell'esistenza umana, è un fenomeno esistenziale fondamentale" (p. 12). Anche ciò che può sembrare più lontano dalla dimensione ludica può essere messo in gioco: "Noi giochiamo con la serietà, l'autenticità, il lavoro e la lotta, l'amore e la morte. E giochiamo perfino con il gioco" (p. 20).

Interessanti anche altre due considerazioni. La prima. il gioco come creazione di mondi: "giocando veniamo [...] trasportati su un altro pianeta" (p. 18), "Ogni giocare è la magica produzione di un mondo del gioco" (p. 28). Il gioco crea quindi uno spazio ed un tempo peculiari (p. 29), legato al presente e non al futuro come la maggior parte dell'esistenza: "Il giocare, a differenza del corso della vita e della sua inquieta dinamica, del suo oscuro essere messo in questione e del suo essere incalzato verso il futuro, ha piuttosto il carattere d un "presente"tranquillo" (pp. 17-18). La seconda. Ben prima della virtualità digitale il gioco pone il problema di una articolazione di più livelli di realtà. Il gioco mostra come non abbia senso contrapporre realtà ed apparenza in modo rigido e schematico: "Fino a quando domina ancora una comprensione dell'essere che semplicemente taglia di netto tra ciò che è reale e ciò che è irreale, nel gioco distinguiamo l'uno dall'altro i momenti semplicemente reali, l'azione corporea e il mondo fittizio; e rimane così del tutto irrisolto il problema ontologico di cosa sia un'apparenza esistente, di che cosa sia un'ombra, un riflesso, un'immagine, una rappresentazione simbolica"(pp. 68-69).

domenica 22 gennaio 2012

Accademia del silenzio

"Tacere le cose che si possono [devono?] dire non è lo stesso che tacere le cose che non si possono dire e che non si devono dire" E. Wiesel, in M. Baldini (a cura), Le dimensioni del silenzio, Città Nuova, Roma 1989, p. 159.


"Quando non sai cosa dire, è meglio che non dici nulla" Tamburino in Walt Disney, Bambi, 1942.


Scrivere, o parlare, del silenzio è sempre qualcosa di delicato. Per quanto non tutte le tipologie di silenzio siano positive (il silenzio omertoso o quello servile per esempio), riscoprire il valore del silenzio, soprattutto di fronte a tante chiacchiere e a tanta retorica così presenti in Italia, è una prospettiva a cui prestare attenzione. I non rari grafomani/logorroici, in modo del tutto paradossale ed involontario, offrono un bel sostegno in questa direzione...


Simonetta Leonardi mi ha segnalato un bella iniziativa sul tema il 27 gennaio prossimo a Foligno. L'iniziativa è promossa dall'Accademia del Silenzio, (nata come ho potuto vedere sul sito da un'idea di Duccio Demetrio e Nicoletta Polla-Mattiot) di cui, a mia vergogna, non conoscevo l'esistenza. Questo il sito http://www.lua.it/accademiasilenzio/ e qui le indicazioni per l'iniziativa del 27 http://www.lua.it/accademiasilenzio/2012/01/appuntamento-a-foligno/#more-1595.

domenica 15 gennaio 2012

Disegnare alla lavagna...

Sto raccogliendo materiali sull'uso delle LIM, le ben note lavagne interattive multimediali. Questa mattina in un banchetto di vecchi libri in uno dei tanti mercatini in cui si può incappare, ho trovato, di Roberto Raimondi, la Raccoltà di forme schematiche per il disegno alla lavagna. Lezioni pratiche per il tirocinio negli istituti magistrali e per i maestri delle scuole elementari maschili e femminili (editore Luigi Trevisini, Milano, senza indicazione della data di pubblicazione, ma direi inizio Novecento a giudicare dallo stile liberty della copertina). Libro affascinante che a suo tempo deve aver incontrato anche un qualche successo (la mia copia si segnala come V edizione). Ho letto con grande interesse le osservazioni Pierfranco Ravotto (http://bricks.maieutiche.economia.unitn.it/wp-content/uploads/2011/06/Bricks_1_2011.pdf) di natura storica sull'introduzione e l'evoluzione della lavagna dall'ardesia al digitale. Cogliere forme di continuità può essere un esercizio interessante: forse c'è una dimensione visiva di cui talvolta sfuggono le origini e che non è così recente come si crede... Delle 192 pagine di tavole (una piccola enciclopedia per immagini in formato scolastico) ne ho scansionata una sola, quella dedicata ai giocattoli. Questo il link:
https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/Raimondi?authkey=Gv1sRgCJ3di6fPuJXS3AE#5697982616660141618

giovedì 12 gennaio 2012

Una dimensione importante per me...

Per le studentesse e gli studenti del corso di didattica

Secondo ed ultimo invito alla riflessione. Dopo la narrazione delle propria esperienza e dopo aver provato ad individuare una caratteristica che tutti gli insegnati dovrebbero avere, l'ultima questione può essere, come dicevo a lezione, posta in questi termini: quale caratteristica ritenete possa avere un valore particolare non semplicemente in termini generali per tutti gli insegnanti ma per l'insegnante che ciascuno di voi diventerà? Detto in altri termini: nel percorso di formazione iniziato quest'anno quale caratteristica/dimensione avete intenzione di curare con una particolare attenzione? E perchè? Anche qui vi invito ad indicare una sola caratteristica/dimensione... Il colloquio d'esame inizierà commentando quanto avrete scritto qui... Buon lavoro!

Una caratteristica valida per tutti gli insegnanti

Per le studentesse e gli studenti del corso di didattica

Spero che il nuovo anno sia ben iniziato per tutti voi! Avevo promesso due nuovi post e le promesse vanno mantenute. I racconti delle vostre esperienze di studenti sono stati (purtroppo solo parzialmente) commentati a lezione. Le osservazioni emerse sono interessanti e andrebbero riprese, ma per completare il percorso, avevamo concordato due ulteriori passaggi. Nel raccontare la vostra esperienza avete implicitamente iniziato a far emergere una vostra visione dell'insegnamento e dell'insegnante. Allora la prima riflessione che vi invito a compiere, inserendo un commento a questo post, è la seguente: quale è la caratteristica (uso un termine volutamente generico) che tutti gli insegnanti dovrebbero avere? Ve ne chiedo una sola (cerchiamo di sfuggire alla logica degli interminabili elenchi e diamo per scontato che tutti coloro che insegnano sono belli, bravi e buoni...) e vi chiedo ovviamente di argomentare questa vostra scelta... segue nell'altro post il secondo passaggio...

Rodari, il riso e l'anno

"Nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco"
Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Eiunadi Torino 1973, p. 20.


Bella osservazione che credo ancora attuale e non solo per la scuola. Certo, visti i tempi, si potrebbe osservare che da ridere c'è ben poco. Conservare la forza ed il gusto di sorridere delle umane miserie può forse essere, nonostante tutto, un buon augurio per questo anno appena iniziato, e c'è, comunque, anche il ridere ed il deridere da parte di chi è indignato...