Leggevo qualche giorno fa uno scritto di Pier Cesare Rivoltella
sulle diverse tipologie di immagini utilizzate per realizzare il profilo in
Facebook. Nella scelta dell’immagine che ci rappresenta due sono le possibili
contrapposte strategie: la prima è la “identity performance, che colloca
l’autore al centro della pagina e insiste sui contenuti della pagina stessa
come legati all’esperienza e alle competenze dell’autore”: prevale la logica di
riconoscibilità e visibilità. La seconda
è la “identity erasure, che gioca invece sul mascheramento,
sull’identificazione del proprio volto attraverso la sua sostituzione o
negazione“(Pier Cesare Rivoltella, Il volto “sociale” di Facebook.
Rappresentazione e costruzione identitaria nella società estroflessa, in Vinci
D. (a cura), Il volto nel pensiero contemporaneo, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2010, p. 514, reperibile on line
all’indirizzo http://it.scribd.com/doc/87546192/Il-volto-sociale-di-Facebook).
Nel caso della prima strategia si tratta comunque di un ritratto e di un
ritratto realizzato con una macchina fotografica digitale. Questo apre
ulteriori prospettive di indagine. Roland Barthes - che avrebbe apprezzato,
viste le sue affermazioni sulla Polaroid, la fotografia digitale - ricorda la
sua esperienza di soggetto fotografato: “Molto spesso però (troppo per i miei
gusti) sono stato fotografato sapendo che lo ero. Orbene, non appena io mi
sento guardato dall’obiettivo, tutto cambia: mi metto in atteggiamento di «posa», mi
fabbrico istantaneamente un altro corpo, mi trasformo anticipatamente in
immagine” (Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi,
Torino 2003, p. 12). E da qui seguono le molteplici identità presenti nella
medesima immagine: “Davanti all’obiettivo, io sono contemporaneamente:
quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il
fotografo crede che io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della
sua arte” (p. 15).
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