sabato 26 marzo 2011

Jenkins - Culture partecipative prima parte

Note di lettura – parte prima
Henry Jenkins, Ravi Purushotma, Margaret Weigel, Katie Clinton, Alice Robinson, Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo. Introduzione e cura di Paolo Ferri e Alberto Marinelli

Una prima osservazione che va fatta è che in realtà non si tratta di un'opera ma di due: l’introduzione di Paolo Ferri e Alberto Marinelli costituisce non una semplice introduzione ma un saggio autonomo, che offre un quadro aggiornato del contesto europeo e italiano.

Introduzione. New Media Literacy e processi di apprendimento di Paolo Ferri e Alberto Marinelli (pp. 7-53)

Provando ad individuare i nodi concettuali e alcuni riferimenti, questo è l’elenco che mi viene di proporre:

  • Necessità di un approccio che leghi discipline diverse: “Media studies e pedagogical research sono difficilmente separabili di fronte alle sfide che la media education si trova ad affrontare nel XXI secolo” (p. 7).
  • Importanza di ricucire il rapporto tra la dimensione formale, informale e non formale, partendo dall’attenzione verso le modalità di apprendimento proprie della vita quotidiana per arrivare ad individuare modalità di raccordo con le attività formali/scolastiche (ricondurre l’informale al formale, p. 8; p. 20; “la dimensione progettuale deve puntare a integrare, senza soluzioni di continuità, le modalità di conoscenza che hanno origine in contesti tradizionali – come quelli scolastici – con competenze individuali che emergono a partire dalle pratiche di collaborazione e networking in cui i soggetti sono quotidianamente coinvolti” p. 23; p. 25-26). Questa è sicuramente una questione centrale e costituisce la sfida su cui lavorare.
  • In tal senso, cioè nella logica di sperimentare e trovare soluzioni, è condivisibile l’appello alla effettiva sperimentazione: “Nel mondo accademico si comincia forse a prendere atto che maggiore disponibilità di informazione su qualsiasi tema scientifico non significa necessariamente maggiore autonomia di riflessione e dunque apprendimento critico e crescita della conoscenza. Nel quotidiano lavoro scientifico e di ricerca si nota ormai, con grande evidenza, il fatto che alla smisurata messe di contributi che si cumulano sul desktop del proprio computer non corrisponde affatto una differenziazione degli approcci, ricchezza delle ipotesi interpretative, capacità di introdurre quel bias rispetto alle opinioni prevalenti, che fa intravedere un potenziale mutamento di paradigma. Maggiore disponibilità di informazione spesso significa solo maggiore ricorso alla citazione (o, peggio, al cut and paste), quasi si avesse paura di uscire dal tracciato segnato dalle metriche di valutazione (computerizzate e dunque asettiche) cui stoltamente si stanno affidando alcune comunità scientifiche”(p. 9).
  • Sull’idea di competenza digitale (pp. 14-15).
  • Il processo di domesticazione delle tecnologie (p. 17).
  • Competenze di base o di navigazione, di controllo della tecnologia, di regolazione delle tecnologie (pp. 17-18).
  • Sulla comprensione critica: “la funzione educativa può dunque più efficacemente presidiare gli aspetti legati alla comprensione critica, al controllo dei linguaggi e alla promozione della dimensione creativa” (p. 19).
  • Sull’idea di media literacy e sulla sua evoluzione (pp. 20 e seguenti).
  • La proposta di Idit Harel: exploration, expression e exhcange (p. 23).
  • La proposta di Jenkins: spostare l'attenzione dalle competenze individuali a un processo in cui sono centrali le abilità sociali (p. 24).
  • Ricerca Becta (p. 34).

sabato 19 marzo 2011

Per Carlo Colli

Dall’articolo di Emanuele Coppari comparso su Corriere Adriatico di lunedì 14 marzo “Era curioso e colto Carlo Colli. E ti ascoltava quando gli parlavi, con due dita a pizzicarsi la barba e la voglia di conoscere dalle pagine di un libro, dal mondo che ha girato, dalle parole di chi gli stava davanti. La Cisl marchigiana è triste , e un po’ più povera”. Caro Carlo, ti ricordo sorridente dietro una scrivania ingombra di pile di libri e giornali al punto da essere pressoché inutilizzabile a ironizzare con il tuo accento toscano sullo stile decisamente troppo retorico di un nostro collega … e le telefonate via skype entrambi lontani da casa (tu in Albania e io nel più vicino Molise) a raccontarmi di una cooperazione internazionale e di una formazione professionale ben lontane dai maneggi di bassa lega…Ti sono grato per i tanti consigli ricevuti…come quando mi hai detto di Lambert a Polverigi e ho iniziato a sentir parlare di Digital Storytelling…


Detto con poca cristiana rassegnazione, mi dispiace che te ne sia andato.

domenica 13 marzo 2011

Benjamin, le immagini e la letteratura per l’infanzia

1. Importanza delle immagini
Quello che interessa Benjamin non è tanto il libro dell’infanzia in sé, o le finalità educative esplicitamente dichiarate, anzi nei confronti di certa pedagogia settecentesca professa una netta perplessità, ma le immagini: “C’è una cosa che salva le opere più antiquate, meno libere dal pregiudizio […]: l’illustrazione. Quest’ultima sfuggiva al controllo delle teorie filantropiche, e gli artisti e i bambini si sono messi d’accordo alle spalle dei pedagogisti” (Vecchi libri per l’infanzia [II], in W. Benjamin, Opere complete, vol. II, Einaudi, Torino 2001, ed. or. 1924, p. 53). E su questo tema della centralità dell’immagine tornerà anche in anni successivi: “il valore vero di questi semplici libri illustrati per l’infanzia si colloca dunque ben lontano dall’ottusa efficacia, a motivo della quale li raccomandava la pedagogia razionalistica” (Sguardo sul libro dell’infanzia, in W. Benjamin, Opere complete, vol. II, Einaudi, Torino 2001, ed. or. 1926, p. 479).
2. Immagini ed infanzia
Nelle brevi pagine di Benjamin, è da segnalare – oltre ad un tentativo di cogliere una evoluzione della letteratura per l’infanzia in area tedesca, e la presentazione di un ipotetico legame con l’emblematica barocca – la volontà di esplorare il modo con cui i bambini si rapportano con le immagini: “per il fanciullo che parla con le immagini, non sono le cose a uscire dalle pagine: è lui stesso che contemplandole s’insinua in loro, come una nuvola che si sazi dello splendore colorato del mondo delle figure” (Sguardo sul libro dell’infanzia, in W. Benjamin, Opere complete, vol. II, Einaudi, Torino 2001, ed. or. 1926, p. 478).
3. Immagini e testo scritto
Un’ultima serie di osservazioni riguarda il rapporto tra immagini e apprendimento della scrittura: non fa riferimento solo alle immagini che illustrano gli abbecedari, ma anche agli alfabeti figurati e ai rebus (Sguardo sul libro dell’infanzia, in W. Benjamin, Opere complete, vol. II, Einaudi, Torino 2001, ed. or. 1926, p. 480) per arrivare a sottolineare la dimensione tattile di alcuni testi (il tirare una linguetta fa apparire nuove immagini…) (Sguardo sul libro dell’infanzia, in W. Benjamin, Opere complete, vol. II, Einaudi, Torino 2001, ed. or. 1926, p. 481).

Belle le note sul collezionismo, ma è un altro discorso… (Vecchi libri per l’infanzia [II], in W. Benjamin, Opere complete, vol. II, Einaudi, Torino 2001, ed. or. 1924, p. 50).

lunedì 7 marzo 2011

Chiara Frugoni e La voce delle immagini


Note di lettura
Chiara Frugoni, La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo, Einaudi, Torino 2010

Non sono un esperto dell’età medioevale e neanche uno storico dell’arte. Il motivo per cui ho letto, e con gran piacere, il testo della Frugoni è capire se le immagini, come spesso capita di sentire, sono di più immediata comprensione rispetto a messaggi scritti.
Sicuramente per comprendere oggi il significato attribuibile alle immagini in età medievale servono tutta una serie di indicazioni, altrimenti in rischio è di non comprenderle : “le immagini medievali si esprimevano con una loro lingua fatta anche di gesti in codice, di convenzioni architettoniche, di dettagli allusivi, di metafore, di simboli: se non li conosciamo, quelle immagini non hanno voce” (p. xxi).
Il primo capitolo - e forse quello più interessante - è centrato sul fatto che in età medioevale non è il viso ad esprimere sentimenti, ma la posizione delle mani e del corpo: “Nel medioevo, diciamo per semplificare fino a tutto il XII secolo, il viso dei personaggi non esprime i sentimenti e i moti interiori dell’animo, demandati al linguaggio dei gesti e delle mani, quasi il corpo parlasse” (p. 3). Notevoli gli esempi riportati: la mano “sul petto di una donna indica il potere che lo sposo ha sulla moglie” (p. 33), la mano parlante (pp. 68-69), il palmo della mano aperta verso l’esterno come “accettazione e adesione alla parola divina” (p. 90) - bellissima a tale proposito la figura 84 - , il passaggio del gesto del pregare dalla figura originaria dell’orante con le mani alzate alle mani giunte (p. 94).
Ancora più significativa la considerazione di più ampia portata che “nel Medioevo, per secoli, si preferì un linguaggio convenzionale, piuttosto che naturalistico. Perché?” (p. 119). La risposta fornita mostra come l’uso delle immagini è tutt’altro che immediato e spontaneo, ma risponde a precisi criteri culturali. Fondamentale il ruolo svolto dai principi estetici di Plotino, principi “destinati a rimanere inalterati per tutto l’alto Medioevo, continuando, anche se in maniera meno unitaria, fino a Giotto” (p. 122): “Secondo tali principî l’immagine deve essere fornita nella sua leggibilità più piena, riportando tutto in primo piano, evitando scorci e ombre; svolgendo un solido, cioè allineando l’uno accanto all’altro i suoi lati come una scatola non ancora incollata, e adottando infine una prospettiva per cui le linee di fuga appaiono invertite e perciò divergenti, in modo che le immagini si ingrandiscono man mano che si allontanano, o una prospettiva a volo d’uccello, come se dall’alto sorvolassimo un’immagine e la vedessimo appiattirsi al suolo con «effetto domino». Se dunque è un fine «didattico» che giustifica il meccanismo additivo, conseguenza immediata è che manca ogni fusione fra il personaggio e lo spazio in cui è pensato agire” (p. 122). C’è quindi una idea “didattica” nella produzione di immagini, idea didattica che va in una direzione opposta rispetto a modelli naturalistici, di riproduzione della realtà sensibile: il fine di far meglio comprendere allontana dall’uso della prospettiva e di una banale visione “fotografica” della realtà…
La questione che vorrei chiarire (e di questo devo parlare con la mia collega medievista) è fino a che punto tali criteri appartenevano ai soli ceti colti: la nota espressione degli affreschi come bibbia dei poveri (e soprattutto degli analfabeti) lascia pensare che le immagini medioevali fossero leggibili (facilmente?) da vasti strati della popolazione. Ma è proprio vero? L’esempio portato dalla Frugoni del sole raggiante di San Bernardino (pp. 145-146) mostra come fossero possibili fraintendimenti (i tre processi di stregoneria per San Bernardino, del resto il sole era un simbolo pagano…). E comunque le considerazioni della Frugoni forniscono argomentazioni a sostegno di uso delle immagini che non è esemplificativo, didascalico, di semplice imitazione e piatta illustrazione…

[aspetti da riprendere: Sul silenzio e sulle sue rappresentazioni iconografiche p. 103 e ss.; il tema degli Ebrei, p. 136; il signum viventis, p. 148; gli angeli, pp. 222 e seguenti; le tipologie di icone mariane: theotokos nicopoia (datrice di vittoria), odighitria (colei che indica la via), glykophilousa o eleousa (della dolcezza) pp.238-242]

sabato 5 marzo 2011

Microblogging su Form@re

E' stato pubblicato il numero 74 della rivista Form@re dal titolo Microblogging: What value for education?, a cura di Carmen Holotescu e Gabriela Grosseck. Il numero è introdotto anche da una Presentazione in italiano a cura di Filippo Bruni. Seguirà un successivo numero sul medesimo tema, in cui saranno incluse le traduzioni dei contributi qui offerti e ulteriori contributi relativi al contesto italiano.
Questo è l'indirizzo dell'editoriale:
http://formare.erickson.it/wordpress/it/2011/editoriale-70/
Questo l'indirizzo della Presentazione:
http://formare.erickson.it/wordpress/it/2011/social-network-microblogging-twitter%e2%80%a6-una-sfida-per-il-contesto-italiano-presentazione-per-il-pubblico-italiano/