lunedì 30 gennaio 2012

Fink, gioco, pervasività e creazione di mondi

"parlare seriamente del gioco, e magari con la tetra serietà di chi cavilla sulle parole e spacca in quattro i concetti, in fin dei conti è una mera contraddizione e un brutto modo di rovinare il gioco" (p. 5)

Eugen Fink, Oasi del Gioco, Milano, Cortina 2008, a cura di Anna Calligaris

Ho avuto modo di leggere Oasi del Gioco di Fink: mi interessava riuscire a capire, prima della nascita e della diffusione dei videogiochi, se esistessero riflessioni che in qualche modo argomentassero la pervasività del gioco. L'opera di Fink risale al 1957, ben prima quindi della diffusione di massa del personal computer. A parte il bellissimo invito, espresso nella citazione sopra riportata, a parlare ludicamente del gioco, già dalle prime pagine emerge la convinzione dell'importanza del gioco: "L'attenzione per il gioco permea in misura sorprendente la coscienza di sé dell'uomo contemporaneo" (p. 3). Provando a schematizzare le argomentazioni a sostegno di una pervasività del gioco possono essere le seguenti:

1. Vanno evitate contrapposizioni del tipo gioco e lavoro: "Fino a quando [... si continuerà ad operare attraverso le antitesi ingenue di "lavoro e gioco", di "gioco e serietà della vita", e così via, il gioco non verrà compreso nel suo contenuto d'essere e nella sua profondità d'essere" (p. 10). Il gioco non può essere compreso tramite contrapposizioni che lo escludono da ambiti che invece attraversa.

2. La stessa funzione educativa del gioco non può portare a visioni riduttive e puramente strumentali (mi ricorda un passaggio di Dossena) (p. 11).

3. Il gioco, di conseguenza, non va ridotto alla sola dimensione infantile: bambini ed adulti, sia pure in maniera diversa, giocano entrambi: "Forse anche l'adulto gioca altrettanto, solo diversamente, più segretamente, più mascheratamente" (p. 12).

4. In tal senso il gioco pervade l'intera esistenza umana e non può essere considerato come forma marginale dell'esistenza: "Il gioco appartiene essenzialmente alla costituzione d'essere dell'esistenza umana, è un fenomeno esistenziale fondamentale" (p. 12). Anche ciò che può sembrare più lontano dalla dimensione ludica può essere messo in gioco: "Noi giochiamo con la serietà, l'autenticità, il lavoro e la lotta, l'amore e la morte. E giochiamo perfino con il gioco" (p. 20).

Interessanti anche altre due considerazioni. La prima. il gioco come creazione di mondi: "giocando veniamo [...] trasportati su un altro pianeta" (p. 18), "Ogni giocare è la magica produzione di un mondo del gioco" (p. 28). Il gioco crea quindi uno spazio ed un tempo peculiari (p. 29), legato al presente e non al futuro come la maggior parte dell'esistenza: "Il giocare, a differenza del corso della vita e della sua inquieta dinamica, del suo oscuro essere messo in questione e del suo essere incalzato verso il futuro, ha piuttosto il carattere d un "presente"tranquillo" (pp. 17-18). La seconda. Ben prima della virtualità digitale il gioco pone il problema di una articolazione di più livelli di realtà. Il gioco mostra come non abbia senso contrapporre realtà ed apparenza in modo rigido e schematico: "Fino a quando domina ancora una comprensione dell'essere che semplicemente taglia di netto tra ciò che è reale e ciò che è irreale, nel gioco distinguiamo l'uno dall'altro i momenti semplicemente reali, l'azione corporea e il mondo fittizio; e rimane così del tutto irrisolto il problema ontologico di cosa sia un'apparenza esistente, di che cosa sia un'ombra, un riflesso, un'immagine, una rappresentazione simbolica"(pp. 68-69).

domenica 22 gennaio 2012

Accademia del silenzio

"Tacere le cose che si possono [devono?] dire non è lo stesso che tacere le cose che non si possono dire e che non si devono dire" E. Wiesel, in M. Baldini (a cura), Le dimensioni del silenzio, Città Nuova, Roma 1989, p. 159.


"Quando non sai cosa dire, è meglio che non dici nulla" Tamburino in Walt Disney, Bambi, 1942.


Scrivere, o parlare, del silenzio è sempre qualcosa di delicato. Per quanto non tutte le tipologie di silenzio siano positive (il silenzio omertoso o quello servile per esempio), riscoprire il valore del silenzio, soprattutto di fronte a tante chiacchiere e a tanta retorica così presenti in Italia, è una prospettiva a cui prestare attenzione. I non rari grafomani/logorroici, in modo del tutto paradossale ed involontario, offrono un bel sostegno in questa direzione...


Simonetta Leonardi mi ha segnalato un bella iniziativa sul tema il 27 gennaio prossimo a Foligno. L'iniziativa è promossa dall'Accademia del Silenzio, (nata come ho potuto vedere sul sito da un'idea di Duccio Demetrio e Nicoletta Polla-Mattiot) di cui, a mia vergogna, non conoscevo l'esistenza. Questo il sito http://www.lua.it/accademiasilenzio/ e qui le indicazioni per l'iniziativa del 27 http://www.lua.it/accademiasilenzio/2012/01/appuntamento-a-foligno/#more-1595.

domenica 15 gennaio 2012

Disegnare alla lavagna...

Sto raccogliendo materiali sull'uso delle LIM, le ben note lavagne interattive multimediali. Questa mattina in un banchetto di vecchi libri in uno dei tanti mercatini in cui si può incappare, ho trovato, di Roberto Raimondi, la Raccoltà di forme schematiche per il disegno alla lavagna. Lezioni pratiche per il tirocinio negli istituti magistrali e per i maestri delle scuole elementari maschili e femminili (editore Luigi Trevisini, Milano, senza indicazione della data di pubblicazione, ma direi inizio Novecento a giudicare dallo stile liberty della copertina). Libro affascinante che a suo tempo deve aver incontrato anche un qualche successo (la mia copia si segnala come V edizione). Ho letto con grande interesse le osservazioni Pierfranco Ravotto (http://bricks.maieutiche.economia.unitn.it/wp-content/uploads/2011/06/Bricks_1_2011.pdf) di natura storica sull'introduzione e l'evoluzione della lavagna dall'ardesia al digitale. Cogliere forme di continuità può essere un esercizio interessante: forse c'è una dimensione visiva di cui talvolta sfuggono le origini e che non è così recente come si crede... Delle 192 pagine di tavole (una piccola enciclopedia per immagini in formato scolastico) ne ho scansionata una sola, quella dedicata ai giocattoli. Questo il link:
https://picasaweb.google.com/107275254390201224997/Raimondi?authkey=Gv1sRgCJ3di6fPuJXS3AE#5697982616660141618

giovedì 12 gennaio 2012

Una dimensione importante per me...

Per le studentesse e gli studenti del corso di didattica

Secondo ed ultimo invito alla riflessione. Dopo la narrazione delle propria esperienza e dopo aver provato ad individuare una caratteristica che tutti gli insegnati dovrebbero avere, l'ultima questione può essere, come dicevo a lezione, posta in questi termini: quale caratteristica ritenete possa avere un valore particolare non semplicemente in termini generali per tutti gli insegnanti ma per l'insegnante che ciascuno di voi diventerà? Detto in altri termini: nel percorso di formazione iniziato quest'anno quale caratteristica/dimensione avete intenzione di curare con una particolare attenzione? E perchè? Anche qui vi invito ad indicare una sola caratteristica/dimensione... Il colloquio d'esame inizierà commentando quanto avrete scritto qui... Buon lavoro!

Una caratteristica valida per tutti gli insegnanti

Per le studentesse e gli studenti del corso di didattica

Spero che il nuovo anno sia ben iniziato per tutti voi! Avevo promesso due nuovi post e le promesse vanno mantenute. I racconti delle vostre esperienze di studenti sono stati (purtroppo solo parzialmente) commentati a lezione. Le osservazioni emerse sono interessanti e andrebbero riprese, ma per completare il percorso, avevamo concordato due ulteriori passaggi. Nel raccontare la vostra esperienza avete implicitamente iniziato a far emergere una vostra visione dell'insegnamento e dell'insegnante. Allora la prima riflessione che vi invito a compiere, inserendo un commento a questo post, è la seguente: quale è la caratteristica (uso un termine volutamente generico) che tutti gli insegnanti dovrebbero avere? Ve ne chiedo una sola (cerchiamo di sfuggire alla logica degli interminabili elenchi e diamo per scontato che tutti coloro che insegnano sono belli, bravi e buoni...) e vi chiedo ovviamente di argomentare questa vostra scelta... segue nell'altro post il secondo passaggio...

Rodari, il riso e l'anno

"Nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco"
Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Eiunadi Torino 1973, p. 20.


Bella osservazione che credo ancora attuale e non solo per la scuola. Certo, visti i tempi, si potrebbe osservare che da ridere c'è ben poco. Conservare la forza ed il gusto di sorridere delle umane miserie può forse essere, nonostante tutto, un buon augurio per questo anno appena iniziato, e c'è, comunque, anche il ridere ed il deridere da parte di chi è indignato...