lunedì 7 marzo 2011

Chiara Frugoni e La voce delle immagini


Note di lettura
Chiara Frugoni, La voce delle immagini. Pillole iconografiche dal Medioevo, Einaudi, Torino 2010

Non sono un esperto dell’età medioevale e neanche uno storico dell’arte. Il motivo per cui ho letto, e con gran piacere, il testo della Frugoni è capire se le immagini, come spesso capita di sentire, sono di più immediata comprensione rispetto a messaggi scritti.
Sicuramente per comprendere oggi il significato attribuibile alle immagini in età medievale servono tutta una serie di indicazioni, altrimenti in rischio è di non comprenderle : “le immagini medievali si esprimevano con una loro lingua fatta anche di gesti in codice, di convenzioni architettoniche, di dettagli allusivi, di metafore, di simboli: se non li conosciamo, quelle immagini non hanno voce” (p. xxi).
Il primo capitolo - e forse quello più interessante - è centrato sul fatto che in età medioevale non è il viso ad esprimere sentimenti, ma la posizione delle mani e del corpo: “Nel medioevo, diciamo per semplificare fino a tutto il XII secolo, il viso dei personaggi non esprime i sentimenti e i moti interiori dell’animo, demandati al linguaggio dei gesti e delle mani, quasi il corpo parlasse” (p. 3). Notevoli gli esempi riportati: la mano “sul petto di una donna indica il potere che lo sposo ha sulla moglie” (p. 33), la mano parlante (pp. 68-69), il palmo della mano aperta verso l’esterno come “accettazione e adesione alla parola divina” (p. 90) - bellissima a tale proposito la figura 84 - , il passaggio del gesto del pregare dalla figura originaria dell’orante con le mani alzate alle mani giunte (p. 94).
Ancora più significativa la considerazione di più ampia portata che “nel Medioevo, per secoli, si preferì un linguaggio convenzionale, piuttosto che naturalistico. Perché?” (p. 119). La risposta fornita mostra come l’uso delle immagini è tutt’altro che immediato e spontaneo, ma risponde a precisi criteri culturali. Fondamentale il ruolo svolto dai principi estetici di Plotino, principi “destinati a rimanere inalterati per tutto l’alto Medioevo, continuando, anche se in maniera meno unitaria, fino a Giotto” (p. 122): “Secondo tali principî l’immagine deve essere fornita nella sua leggibilità più piena, riportando tutto in primo piano, evitando scorci e ombre; svolgendo un solido, cioè allineando l’uno accanto all’altro i suoi lati come una scatola non ancora incollata, e adottando infine una prospettiva per cui le linee di fuga appaiono invertite e perciò divergenti, in modo che le immagini si ingrandiscono man mano che si allontanano, o una prospettiva a volo d’uccello, come se dall’alto sorvolassimo un’immagine e la vedessimo appiattirsi al suolo con «effetto domino». Se dunque è un fine «didattico» che giustifica il meccanismo additivo, conseguenza immediata è che manca ogni fusione fra il personaggio e lo spazio in cui è pensato agire” (p. 122). C’è quindi una idea “didattica” nella produzione di immagini, idea didattica che va in una direzione opposta rispetto a modelli naturalistici, di riproduzione della realtà sensibile: il fine di far meglio comprendere allontana dall’uso della prospettiva e di una banale visione “fotografica” della realtà…
La questione che vorrei chiarire (e di questo devo parlare con la mia collega medievista) è fino a che punto tali criteri appartenevano ai soli ceti colti: la nota espressione degli affreschi come bibbia dei poveri (e soprattutto degli analfabeti) lascia pensare che le immagini medioevali fossero leggibili (facilmente?) da vasti strati della popolazione. Ma è proprio vero? L’esempio portato dalla Frugoni del sole raggiante di San Bernardino (pp. 145-146) mostra come fossero possibili fraintendimenti (i tre processi di stregoneria per San Bernardino, del resto il sole era un simbolo pagano…). E comunque le considerazioni della Frugoni forniscono argomentazioni a sostegno di uso delle immagini che non è esemplificativo, didascalico, di semplice imitazione e piatta illustrazione…

[aspetti da riprendere: Sul silenzio e sulle sue rappresentazioni iconografiche p. 103 e ss.; il tema degli Ebrei, p. 136; il signum viventis, p. 148; gli angeli, pp. 222 e seguenti; le tipologie di icone mariane: theotokos nicopoia (datrice di vittoria), odighitria (colei che indica la via), glykophilousa o eleousa (della dolcezza) pp.238-242]

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