domenica 30 settembre 2012

Educare all’immagine e le pratiche degli insegnanti


L’approccio storico non è il mio tuttavia quando mi sono trovato tra le mani senza  alcun mio merito (uno dei soliti banchetti di libri dei mercatini estivi) il testo di Giuseppe Lombardo-Radice, La buona messe, Associazione nazionale per gli interessi del mezzogiorno, Roma 1926, ho intuito come tutta una serie di questioni hanno radici antiche. Lombardo-Radice difende l’importanza del disegno nella formazione del bambino verso posizioni che lo ritenevano del tutto accessorio, una specie di  lusso estetico, e lo difende con un approccio che non vuole il disegno come ripetizione di modelli standardizzati seguendo le linee e i quadretti stampati sui fogli. Interessante l’elenco delle funzioni affidate al disegno: “libero giouco a sfogo del bisogno di espressione che c’è nel bambino; […] eccellente stimolo allo spirito di osservazione; […] commento alle lezioni varie; […] educazione dell’autocontrollo intellettuale; […] preparazione alla scrittura; […] integrazione delle descrizioni, per ciò che non è facile o non giova esprimere a parole; e soprattutto come occupazione di riposo, a casa e in iscuola” (p. 12). L’aspetto che mi stupisce, e che chiaramente va collocato nel contesto del tempo, è come nonostante si voglia promuovere una educazione all’immagine, quest’ultima sembra rimanere limitata, per tanti aspetti, ad una dimensione ancillare, di riposo e di sfogo.
Un altro aspetto, che non mi aspettavo di trovare, è lo scarto tra pratiche didattiche e riflessione pedagogica di natura accademica, scarto espresso in un modo decisamente netto e diretto: “Singolar cosa l’assenza dei pedagogisti italiani nelle esperienze didattiche nuove, salvo rarissime eccezioni. Anche quelli che da sé si qualificano sperimentalisti  quali esperienze hanno compiute o indirizzate? Zero! La nuova pedagogia italiana ha i suoi veri e soli pedagogisti nei maestri, ai quali i signori delle cattedre non faranno mai posto nelle loro storie della pedagogia e dell’educazione!” (p. 26).   

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