Definizione di empatia
"l'empatia è l'atto attraverso cui ci rendiamo conto che un
altro, un'altra, è soggetto di esperienza come lo siamo noi: vive sentimenti ed
emozioni, compie atti volitivi e cognitivi" (p. XII ).
Potenzialità dell'empatia
Da un lato il discorso sull'empatia potrebbe essere scontato: siamo
inseriti in un contesto in cui le relazioni costituiscono sin dall'origine un
dato ineliminabile e può esser considerato intuitivo che le persone con cui
abbiamo a che fare siano simili a noi. Vanno però considerate
potenzialità che possono anche essere o non colte o tradite: "Certo,
occorre ripeterlo, ognuno di noi si trova in un contesto intersoggettivo, cioè
in una rete di scambi e relazioni sociali, ognuno di noi appartiene a una
comunità di lingua e di tradizione prima del suo concreto incontro con un
altro. È tuttavia necessario, forse, riscoprire un dato di fatto: che
l'incontro concreto [...] aggiunge qualcosa di nuovo, non si limita cioè a
rendere esplicito il vincolo che ci lega agli altri"(p. XXVIII).
Cosa non è l'empatia
Non è la simpatia: c'è differenza tra empatia e simpatia
(l'empatia è condizione di possibilità della simpatia) ( p. 11-12).
Non è un sapere congetturale, non è una magica comunicazione di anime:
uno dei meriti di Edith Stein è di considerare l'empatia come "il
fondamento di tutti gli atti (emotivi, cognitivi, volitivi, valutativi,
narrativi ecc.) con cui entriamo in rapporto con un'altra persona" (p.
21). Viene così ad essere superato la sterile alternativa tra empatia come
"forma di sapere congetturale" da un lato ed empatia come "magica
comunicazione delle anime" dall'altro” (p. 21).
Non è una forma di immedesimazione: "empatia vuol dire
allargare la propria esperienza, renderla capace di accogliere il dolore, la
gioia altrui, mantenendo a distinzione tra me e l'altro, l'altra. Empatia è
"rendersi conto", cogliere la realtà del dolore della gioia di altri,
non soffrire o gioire in prima persona o immedesimarsi" (p. 24).
Non è una intuizione: c'è un processo, un movimento empatico che
implica prima l'emozione dell'incontro, poi un immaginare e comprendere, e
infine una trasformazione di sé (pp. 28-29).
Il processo dell’empatia
Empatia e incontro: importanza ma anche limiti del volto (in
tal senso Boella critica Lévinas perché il suo è un volto
indefinito, pp. 42-43).
Ci si trova comunque di fronte ad un processo paradossale, perché l'empatia è paradossale: “L’empatia mi mette in contatto sensibile,
mi rende accessibile qualcosa di inaccessibile, a volte di incomprensibile” (p.
44). Tuttavia va tenuto conto che si possono ritrovare espressioni
identiche in culture diverse: “le espressioni di gioia, dolore, paura,
ira, sorpresa, disgusto, tristezza, sdegno hanno un loro universalità o
perlomeno alcune di esse sono uguali in tutte le culture” (p. 46. Il
riferimento è a P. Ekman).
Rimane aperto il problema centrale se davvero possiamo conoscere cosa
prova un altro: è questa la domanda fondamentale chiaramente formulata (p.
64). Interessante la posizione della Boella “ “mettersi nei panni
dell’altro” vuol dire sperimentare se stessi al di là delle vie battute, al di
là dei propri confini” (p. 67). in definitiva l’empatia più che una una
ricostruzione ipotetica dell’altro è riflessione e sperimentazione della
propria identità: “L’incontro con l’altro non è il mistero della comunicazione
delle anime. Significa innanzitutto rendersi conto di ciò che si è modificato
in me o ho scoperto di me, a partire dal momento in
cui la gioia, il dolore di un altro ha "mosso" la trasmissione del
sentire tra me e lui” (pp. 72-73).
Formare all’empatia
Non servono tecniche, ma sicuramente forme di pratica: “sbagliato
sarebbe pensare all’apprendimento di una serie di tecniche, anche se di fatto
l’empatia richiede esercizio, impegno, deve essere coltivata come un’essenziale
capacità umana” (pp. 90-91).
L'esercizio dell'empatia si configura quindi come
riflessione-revisione della propria identità: "Esercitarsi all'empatia
significa innanzitutto essere chiamati a un esercizio con se stessi, a
correggere e a completare la percezione che ognuno ha di sé, arrivando ad
accettare anche la novità e la durezza di possibilità di essere , provenienti
dall'altro, che possono entrare in conflitto o indebolire l'idea che, a
volte con fatica ci siamo fatto di noi, ma che non possiamo assolutamente escludere
siano presenti nella nostra profondità più intima oppure possano un giorno
stravolgere la costruzione operosa della nostra identità" (p. 96). Empatia
insomma come correttivo a forme narcisistiche di riflessioni troppo centrate su
di sé.
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