venerdì 1 aprile 2011

Jenkins - culture partecipative seconda parte

Note di lettura – parte seconda

Henry Jenkins, Ravi Purushotma, Margaret Weigel, Katie Clinton, Alice Robinson, Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo. Introduzione e cura di Paolo Ferri e Alberto Marinelli, Guerini, Milano 2010


I punti centrali mi sembra siano quattro: la cultura partecipativa, il rapporto tra formale e informale, le competenze digitali, le abilità di base della media literacy.

1. La cultura partecipativa

Definizione di cultura partecipativa: “cultura con barriere relativamente basse per l’espressione artistica e l’impegno civico, che dà un forte sostegno alle attività di produzione e condivisione delle creazioni e prevede una qualche forma di menthorship informale, secondo la quale i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti” (p. 57 e cfr anche p. 67). Individuazione e definizione delle forme della cultura partecipativa (affiliazione, espressioni creative, problem solving di tipo collaborativo, circolazione) (pp. 57-58 e p. 70). Proprio il riferimento alla cultura partecipativa rende insufficiente il riferimento alla sola dimensione individuale: “la cultura partecipativa sposta il focus della costruzione di competenze (literacy) dall’espressione individuale al coinvolgimento nella comunità” (p. 60).


2. Il rapporto tra formale e informale

E' molto interessante il confronto tra formale e informale basato su coppie di concetti contrapposte: conservatore/sperimentale, statico/innovativo, provvisorio/istituzionalizzato, capace di evolversi rapidamente/lento nei cambiamenti, ad hoc e localizzato/burocratico e nazionale (p. 72). Altrettanto significativa la tesi secondo cui, per quanto la dimensione informale sia centrale (p. 64), serve un intervento nella direzione formale per tre motivi: a. eliminare il gap di partecipazione legato all’”accesso ineguale a opportunità, esperienze, abilità e conoscenze”; b. importanza di conseguire la consapevolezza di come “i media formano le percezioni del mondo"; c. sfida etica data dal formare “creatori di media e partecipanti alla vita comunitaria” (p. 59 e cfr. pp. 76-77).

3. Le competenze digitali (ma non solo)

Da segnalare l'esordio basato sulla presentazione di casi (mi affascina il fatto che si narrino esperienze prima ancora di presentare teorie) (pp. 62-64). Definizione di literacy del XXI secolo ripresa dal New Media Consortium “un insieme di abilità e capacità a cui si sovrappongono le competenze relative a suoni, immagini, e formati digitali. Tra queste ci sono l’abilità di comprendere il potere delle immagini e dei suoni, di riconoscerlo e utilizzarlo e l’abilità di manipolare e trasformare i media digitali, di distribuirli in maniera pervasiva e di riadattarli con facilità in forme nuove” (pp. 92-93). Rispetto a tale definizione, Jenkins propone due integrazioni: “abilità di comprendere e produrre testi” come come competenza ancora centrale e “le nuove competenze relative ai media dovrebbero essere considerate un’abilità sociale” (p. 92 cfr anche p. 94). Jenkins recupera l'idea di complessità proponendo un approccio ecologico: “piuttosto che avere a che fare separatamente con ogni singola tecnologia, sembra più opportuno adottare un approccio ecologico, tenendo in considerazione l’interrelazione tra le diverse tecnolgie di comunicazione, le comunità culturali che crescono intorno a loro e le attività che esse supportano” (p. 68).

4. Le abilità di base della media literacy

Questo è l'elenco delle nuove abilità: gioco, simulazione, performance, appropriazione, multitasking, conoscenza distribuita, intelligenza collettiva, giudizio, navigazione transmedia, networking, negoziazione (pp. 60-61).

Ciò che mi colpisce è che il tema del gioco (messo al primo posto per un criterio tassonomico?), si ritrova in gran parte delle abilità sia nelle considerazioni teoriche sia nelle indicazioni di natura didattica: gioco e simulazione (pp. 105-111), gioco, performance e identità (pp. 111-120), gioco come appropriazione (pp. 124-125), gioco e multitasking (p. 131), gioco e conoscenza distribuita (pp. 132-135), gioco e intelligenza collettiva (p. 143). Oltre alla presenza pervasiva del gioco nella descrizione delle nuove abilità, l'importanza del gioco/videogioco per l’apprendimento è esplicitamente dichiarata ( p. 74), anche se, coerentemente con l'impianto del discorso, viene sostenuta l'importanza dell’apprendimento formale per comprenderlo in modo adeguato: “gli studenti hanno imparato a leggere le informazioni dai giochi […] ma non sono stati ancora in grado di imparare a leggere i giochi come testi, costruiti come norme estetiche, convezioni di genree, pregiudizi ideologici e codici di rappresentazione” (p. 84). Sull'importanza del gioco vedi anche pp. 98 e seguenti. Su possibili attività didattiche legate al gioco e alla narrazione: pp. 104-105.

Gli altri elementi da sottolineare all'interno della descrizione delle abilità sono dati dalla narrazione (navigazione transmedia e trans media storytelling, pp. 153 e 158-159) e dalla interculturalità (negoziazione, gioco e interculturalità, pp. 166 e seguenti).


Due ultime note. La prima: molto bella l'idea della scuola tra contadini e cacciatori (la scuola ha formato ispirandosi al modello del contadino...) (pp. 128-129). La seconda: una giusta dose di scetticismo è una virtù. come osserva Jenkins: “dovremmo […] incoraggiare un clima di sano scetticismo, in cui tutte le pretese di verità vengono pesate con criterio, ma in cui esiste un imperativo etico nell’identificare e presentare la verità” (pp. 148-149).

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