Una grande attenzione è stata data, e giustamente (basti pensare a quanto scritto da Duccio Demetrio), al rapporto tra formazione, identità e scrittura autobiografia, ma ho l’impressione che l’immagine sia all’interno di tali rapporti una risorsa almeno in parte inesplorata.
Interessante in tal senso quanto scrive Fabrizio Piccini, Ri-vedersi. Guida all’uso del ritratto fotografico per la scoperta e la costruzione di sé, Red Edizioni, Milano 2008 e della postfazione di Stefano Ferrari, Unità e molteplicità dell’Io nella dinamica dell’autoritratto, pp. 104-110.
Interessante in tal senso quanto scrive Fabrizio Piccini, Ri-vedersi. Guida all’uso del ritratto fotografico per la scoperta e la costruzione di sé, Red Edizioni, Milano 2008 e della postfazione di Stefano Ferrari, Unità e molteplicità dell’Io nella dinamica dell’autoritratto, pp. 104-110.
Dalla Postfazione:
“nessuna immagine e nessun volto riesce a esprimere la complessità, o meglio la varietà del nostro essere” (p. 104).
“l’uomo, nonostante questa accertata dispersione dell’identità nella frammentazione dell’Io, aspira tuttavia a una sorta di unità che vorrebbe tradurre in un’immagine di sé sufficientemente univoca e rappresentativa . Un’immagine che, da una parte, gli sembra effettivamente conservare dentro di sé e che però, quando si manifesta visivamente, è sentita sempre come inadeguata , non riuscendo mai a corrispondere all’impressione (anche visiva) che il soggetto ha di se stesso” (p. 105).
“l’esigenza dell’autoritratto dovrebbe quindi essere quella di trovare, di volta in volta, un’immagine di sé abbastanza sintetica e abbastanza elastica nella sua specificità da essere in grado di rappresentarsi all’esterno nella ricchezza e polivalenza delle nostre aspirazioni: esercizio difficile e problematico, che passa per lo più attraverso una lunga serie di prove e che concretamente si traduce in diverse proposte di autoritratto” (p. 106).
“nessuna immagine e nessun volto riesce a esprimere la complessità, o meglio la varietà del nostro essere” (p. 104).
“l’uomo, nonostante questa accertata dispersione dell’identità nella frammentazione dell’Io, aspira tuttavia a una sorta di unità che vorrebbe tradurre in un’immagine di sé sufficientemente univoca e rappresentativa . Un’immagine che, da una parte, gli sembra effettivamente conservare dentro di sé e che però, quando si manifesta visivamente, è sentita sempre come inadeguata , non riuscendo mai a corrispondere all’impressione (anche visiva) che il soggetto ha di se stesso” (p. 105).
“l’esigenza dell’autoritratto dovrebbe quindi essere quella di trovare, di volta in volta, un’immagine di sé abbastanza sintetica e abbastanza elastica nella sua specificità da essere in grado di rappresentarsi all’esterno nella ricchezza e polivalenza delle nostre aspirazioni: esercizio difficile e problematico, che passa per lo più attraverso una lunga serie di prove e che concretamente si traduce in diverse proposte di autoritratto” (p. 106).
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