Ho approfittato della proroga fino al 26 settembre per visitare la mostra di Tullio Pericoli all'Ara Pacis a Roma. Temevo di trovarmi di fronte ad una sostanziale replica di quanto già visto l'estate dello scorso anno ad Ascoli Piceno: mi sono dovuto ricredere. Non solo era presente una sezione dedicata ai ritratti, ma anche le opere presentate nella sezione dedicata la paesaggio erano nuove anche se, come comprensibile, caratterizzate dal medesimo stile.
Significativa la motivazione presentata a sostegno dell'accoppiare ritratti e paesaggi: entrambi intesi come narrazioni, individuali nel primo caso, collettivi nel secondo. L'idea che le loro mutazioni si susseguano come pagine di un libro rinvia al volto/paesaggio come realtà dinamiche che possono, almeno in parte, essere intenzionalmente costruite se non progettate. Se il chirurgo plastico e l'architetto paesaggista rappresentano ovviamente l'estremo, è stimolante pensare come entità intese come ricevute e ben poco modificabili in archi temporali brevi possano implicare ed implichino forme di progettualità e quindi di, almeno relativa, responsabilità.
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