"parlare seriamente del gioco, e magari con la tetra serietà di chi cavilla sulle parole e spacca in quattro i concetti, in fin dei conti è una mera contraddizione e un brutto modo di rovinare il gioco" (p. 5)
Eugen Fink, Oasi del Gioco, Milano, Cortina 2008, a cura di Anna Calligaris
Ho avuto modo di leggere Oasi del Gioco di Fink: mi interessava riuscire a capire, prima della nascita e della diffusione dei videogiochi, se esistessero riflessioni che in qualche modo argomentassero la pervasività del gioco. L'opera di Fink risale al 1957, ben prima quindi della diffusione di massa del personal computer. A parte il bellissimo invito, espresso nella citazione sopra riportata, a parlare ludicamente del gioco, già dalle prime pagine emerge la convinzione dell'importanza del gioco: "L'attenzione per il gioco permea in misura sorprendente la coscienza di sé dell'uomo contemporaneo" (p. 3). Provando a schematizzare le argomentazioni a sostegno di una pervasività del gioco possono essere le seguenti:
1. Vanno evitate contrapposizioni del tipo gioco e lavoro: "Fino a quando [... si continuerà ad operare attraverso le antitesi ingenue di "lavoro e gioco", di "gioco e serietà della vita", e così via, il gioco non verrà compreso nel suo contenuto d'essere e nella sua profondità d'essere" (p. 10). Il gioco non può essere compreso tramite contrapposizioni che lo escludono da ambiti che invece attraversa.
2. La stessa funzione educativa del gioco non può portare a visioni riduttive e puramente strumentali (mi ricorda un passaggio di Dossena) (p. 11).
3. Il gioco, di conseguenza, non va ridotto alla sola dimensione infantile: bambini ed adulti, sia pure in maniera diversa, giocano entrambi: "Forse anche l'adulto gioca altrettanto, solo diversamente, più segretamente, più mascheratamente" (p. 12).
4. In tal senso il gioco pervade l'intera esistenza umana e non può essere considerato come forma marginale dell'esistenza: "Il gioco appartiene essenzialmente alla costituzione d'essere dell'esistenza umana, è un fenomeno esistenziale fondamentale" (p. 12). Anche ciò che può sembrare più lontano dalla dimensione ludica può essere messo in gioco: "Noi giochiamo con la serietà, l'autenticità, il lavoro e la lotta, l'amore e la morte. E giochiamo perfino con il gioco" (p. 20).
Interessanti anche altre due considerazioni. La prima. il gioco come creazione di mondi: "giocando veniamo [...] trasportati su un altro pianeta" (p. 18), "Ogni giocare è la magica produzione di un mondo del gioco" (p. 28). Il gioco crea quindi uno spazio ed un tempo peculiari (p. 29), legato al presente e non al futuro come la maggior parte dell'esistenza: "Il giocare, a differenza del corso della vita e della sua inquieta dinamica, del suo oscuro essere messo in questione e del suo essere incalzato verso il futuro, ha piuttosto il carattere d un "presente"tranquillo" (pp. 17-18). La seconda. Ben prima della virtualità digitale il gioco pone il problema di una articolazione di più livelli di realtà. Il gioco mostra come non abbia senso contrapporre realtà ed apparenza in modo rigido e schematico: "Fino a quando domina ancora una comprensione dell'essere che semplicemente taglia di netto tra ciò che è reale e ciò che è irreale, nel gioco distinguiamo l'uno dall'altro i momenti semplicemente reali, l'azione corporea e il mondo fittizio; e rimane così del tutto irrisolto il problema ontologico di cosa sia un'apparenza esistente, di che cosa sia un'ombra, un riflesso, un'immagine, una rappresentazione simbolica"(pp. 68-69).