Note di lettura – parte prima
Henry Jenkins, Ravi Purushotma, Margaret Weigel, Katie Clinton, Alice Robinson, Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo. Introduzione e cura di Paolo Ferri e Alberto Marinelli
Una prima osservazione che va fatta è che in realtà non si tratta di un'opera ma di due: l’introduzione di Paolo Ferri e Alberto Marinelli costituisce non una semplice introduzione ma un saggio autonomo, che offre un quadro aggiornato del contesto europeo e italiano.
Introduzione. New Media Literacy e processi di apprendimento di Paolo Ferri e Alberto Marinelli (pp. 7-53)
Provando ad individuare i nodi concettuali e alcuni riferimenti, questo è l’elenco che mi viene di proporre:
- Necessità di un approccio che leghi discipline diverse: “Media studies e pedagogical research sono difficilmente separabili di fronte alle sfide che la media education si trova ad affrontare nel XXI secolo” (p. 7).
- Importanza di ricucire il rapporto tra la dimensione formale, informale e non formale, partendo dall’attenzione verso le modalità di apprendimento proprie della vita quotidiana per arrivare ad individuare modalità di raccordo con le attività formali/scolastiche (ricondurre l’informale al formale, p. 8; p. 20; “la dimensione progettuale deve puntare a integrare, senza soluzioni di continuità, le modalità di conoscenza che hanno origine in contesti tradizionali – come quelli scolastici – con competenze individuali che emergono a partire dalle pratiche di collaborazione e networking in cui i soggetti sono quotidianamente coinvolti” p. 23; p. 25-26). Questa è sicuramente una questione centrale e costituisce la sfida su cui lavorare.
- In tal senso, cioè nella logica di sperimentare e trovare soluzioni, è condivisibile l’appello alla effettiva sperimentazione: “Nel mondo accademico si comincia forse a prendere atto che maggiore disponibilità di informazione su qualsiasi tema scientifico non significa necessariamente maggiore autonomia di riflessione e dunque apprendimento critico e crescita della conoscenza. Nel quotidiano lavoro scientifico e di ricerca si nota ormai, con grande evidenza, il fatto che alla smisurata messe di contributi che si cumulano sul desktop del proprio computer non corrisponde affatto una differenziazione degli approcci, ricchezza delle ipotesi interpretative, capacità di introdurre quel bias rispetto alle opinioni prevalenti, che fa intravedere un potenziale mutamento di paradigma. Maggiore disponibilità di informazione spesso significa solo maggiore ricorso alla citazione (o, peggio, al cut and paste), quasi si avesse paura di uscire dal tracciato segnato dalle metriche di valutazione (computerizzate e dunque asettiche) cui stoltamente si stanno affidando alcune comunità scientifiche”(p. 9).
- Sull’idea di competenza digitale (pp. 14-15).
- Il processo di domesticazione delle tecnologie (p. 17).
- Competenze di base o di navigazione, di controllo della tecnologia, di regolazione delle tecnologie (pp. 17-18).
- Sulla comprensione critica: “la funzione educativa può dunque più efficacemente presidiare gli aspetti legati alla comprensione critica, al controllo dei linguaggi e alla promozione della dimensione creativa” (p. 19).
- Sull’idea di media literacy e sulla sua evoluzione (pp. 20 e seguenti).
- La proposta di Idit Harel: exploration, expression e exhcange (p. 23).
- La proposta di Jenkins: spostare l'attenzione dalle competenze individuali a un processo in cui sono centrali le abilità sociali (p. 24).
- Ricerca Becta (p. 34).