domenica 14 febbraio 2016

Maria Ranieri, Stefania Manca, I social network nell’educazione. Basi teoriche, modelli applicativi e linee guida, Erickson, Trento 2013

Appunti di lettura

Segnalo cinque snodi

1. Il primo è legato alla dimensione relazionale e sociale che si sviluppa tra realtà e virtualità, diventando un aspetto costitutivo, come segnalato ad esempio da Jenkins, delle competenze digitali. Cogliere lo scarto e la continuità tra le nozioni di rete sociale, con le sue tipologie di legami, di capitale sociale e di social networking (pp. 20-23) permette di evitare visioni dicotomiche ed eccessivamente centrate su una discutibile visione del digitale come dimensione autonoma.

2. Il secondo è quello dell’identità. Oltre a riportare e a puntualizzare i vari approcci al tema delle identità on line, vengono segnalati due questioni che probabilmente segnalano due feconde piste di ricerca. La prima riguarda l’impression management (p. 45), espressione che indica le modalità con cui ciascuno gestisce la propria presentazione, ad esempio nel profilo, cercando di governare e promuovere l’immagine di sé nel contesto sociale. La seconda riguarda la credibilità on line, che insieme al tema della fiducia e delle emozioni, tocca una dimensione non ancora adeguatamente indagata e che, per il rischio di analfabetismo emotivo, risulta essere in termini educativi una sfida di difficile soluzione.

3. Dimensione relazionale ed identità costituiscono le indispensabili premesse per cogliere il valore del dettagliato quadro, realizzato con una puntuale analisi della ricerca internazionale, ed è questo il terzo snodo, su potenzialità e limiti dei social network come ambiente/strumento didattico. Le potenzialità sono, sinteticamente, individuabili in quattro punti: “costruzione di comunità”, “attività collaborative”, “condivisione di risorse”, “ampliamento dei contesti di apprendimento” (p. 80). Ben più consistente sembra essere l’elenco dei limiti segnalati dalle autrici, tra cui spiccano la “mancanza di funzionalità specifiche per l’apprendimento formale”, “l’erosione dei ruoli docente/studente” e la “mancanza di strategia di valutazione adeguate”  (pp. 83-85). Lo scarto tra i due elenchi mostra come il desiderio di utilizzare i social network in chiave didattica, per quanto diffuso e condivisibile, si scontri con la difficoltà di “fornire risposte precise a problemi o esigenze specifiche” (p. 94): del resto “tra i vari contributi che si muovono in questa direzione, ve ne sono alcuni che, presi nel loro insieme, sono indicativi della complessità dell’impresa. Infatti, benché muovano da premesse pedagogiche affini, essi giungono a conclusioni molto diverse su questioni piuttosto delicate” (p. 94). 

4. Di fronte ad quadro complessivo ambivalente, le autrici, oltre a proporre significative linee guida per un uso efficace dei social network nell’apprendimento (pp. 94-97), segnalano – ed è il quarto snodo - la prospettiva data dal lifelong learning. Alla luce di un quadro teorico centrato su una serie di coppie concettuali contrapposte (comunità di pratica/reti di pratica, folla/comunità, comunità/collettivi) vengono esaminate pratiche e prospettive di uso dei social network in relazione alle categorie professionali degli insegnanti, dei medici, degli accademici. Rispetto ad un uso legato alla dimensione formale dell’istruzione sembra prevalere l’aspetto legato al non formale e all’informale. In tal senso le autrici segnalo come emergente la pratica del content digital curation che “sposta l’enfasi dalla produzione di contenuti alla selezione e all’aggiornamento continuo dei contenuti” (p. 126). 

5. Il quinto ed ultimo snodo è dato nelle Conclusioni, dove, in poche pagine, da un lato si affronta il principale problema delle tecnologie dell’istruzione e dall’altro si indicano ulteriori piste di ricerca. Di fronte ai dubbi sull’efficacia della ricerca in relazione all’educational technology, la risposta è duplice. La prima consiste nel rilevare che  esistono comunque nuovi oggetti digitali che di fatto si stanno diffondendo in maniera pervasiva e ciò richiede che siano oggetto di educazione. Serve una “formazione funzionale allo sviluppo di competenze di social networking” (p. 130). La seconda  rileva il dato di pratiche di uso dei social network nei processi di insegnamento/apprendimento. Le buone pratiche vanno valutate ed analizzate: “appare oltremodo ragionevole far tesoro dei risultati della ricerca e trarne indicazioni utili per progettisti, insegnanti, formatori e policy maker nell’ottica dell’educazione con oppure supportata dai social network” (p. 130). Da queste premesse vengono segnalate tre ambiti di interesse per ulteriori ricerche. Il rapporto tra formale e informale, l’identità professionale (“i social network stanno erodendo i confini tra identità personale e professionale, rimettendo seriamente in discussione il concetto di reputazione”, p. 131), e alcune nuove pratiche emergenti come la content curation e l’uso di dispositivi mobili.   

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