Appunti di lettura da
Roberto Maragliano
Parlare le immagini. Punti di vista, Apogeo, Milano 2008.
1. Prima espressione chiave: Le tecnologie si presentano come una mediazione ineliminabile
«Si può, infatti, pensare a un livello zero dell’esperienza, in cui non compaia alcun elemento di intermediazione, nessuna parvenza diretta o indiretta di media? La mia risposta è no. Dunque, se si vuole parlare di formazione, non si potrà farlo escludendo il tema della mediazione, il tema dei media» (p. 12).
2. Seconda espressione chiave: Multimedialità
La multimedialità viene definita come «sia il processo di integrazione tra i codici che viene dall’essere tutti noi esposti, attualmente, a una pluralità di mezzi (ciascuno specializzato in uno e più codici), sia la famiglia dei media digitali (la cui prerogativa principale consiste nell'offrire ambienti in cui tale integrazione di codici avviene nel modo di gran lunga più autonomo, concentrato e costruttivo, tra quanti ambienti mediali l’uomo ha potuto fin qui conoscere e praticare» (p. 12).
Inizialmente spiazzante la collocazione della multimedialità tra scrittura e suono: «la multimedialità prevede due assi: precisamente, l’asse della scrittura e l’asse del suono» che però da intendere come paradigmi delle categorie di staticità e mobilità. Infatti la multimedialità è in qualche modo «generata dall'incontro […] di due matrici di esperienza, che assumo dunque nel loro valore di paradigmi: da un lato la matrice che fa dell’esperienza (conoscitiva e affettiva e sociale: antropologica in senso lato) qualcosa di fissabile, delimitabile, analizzabile, scomponibile, come è la percezione che noi abbiamo della scrittura (soprattutto quella a stampa), e dall'altro la matrice che fa dell’esperienza (conoscitiva ecc.) qualcosa di mobile, aperto, includente e globalizzante, come è il rapporto che noi stabiliamo con il suono e che il suono stabilisce con noi»( p. 13).
3. Terza espressione chiave: Immagine
3.1 Tra statico e dinamico
Maragliano attribuisce una importanza centrale alla differenza tra immagine statica e immagine dinamica. L’immagine statica è assimilabile alla scrittura: nel momento in cui la si legge, come nella scrittura, si richiede una «condotta astrattiva» in cui i confini tra soggetto e oggetto sono ben distinti. Al contrario l’immagine dinamica richiede una «condotta immersiva» simile all'ascolto partecipato, dove la distanza propria della lettura viene meno e «il soggetto entra in risonanza (o in dissonanza) con l’oggetto, prende parte ad esso, anzi ne è parte» (p. 22).
3.2 Le immagini (soprattutto quelle dinamiche) inquietano
«Le immagini inquietano perché sono aperte e dirette, perché lasciano poco spazio e tempo alle meditazioni interpretative: questo è quanto sostengono i critici. Le immagini inquietano perché mettono in scena la molteplicità/complessità dei giochi che si attuano nell’intendere e praticare quel terzo spazio (l’immaginario) che sta tra mondo esteriore e mondo interiore, dove le matrici della scrittura e del suono operano insieme, e dove trionfa l’ibrido è quanto sostengo io» (p. 25).
3.3 La forza tattile dell’immagine
«l’immagine arriva a colpire con una forza tattile che non è inferiore a quella che viene da un evento sonoro: ambedue muovono o commuovono, risuonano e fanno risuonare; non solo e non tanto “trasmettono”, quanto “producono” movimento; ambedue aprono» (p. 109). La scrittura, a meno che non si faccia essa stessa immagine (logo, calligrafia…) non ha lo stesso potenziale.
4.Quarta espressione chiave: Contro l’iconofobia
«Dando ascolto ai contemporanei fustigatori dei linguaggi iconici, soprattutto quelli centrati sul movimento (ammettetelo: cinema e videogiochi sono osteggiati oggi con più virulenza di quanto non fossero ieri i fumetti o i libri illustrati), si evince che la causa prima dell’imbarbarimento culturale, e non solo, di cui risultiamo essere tutti vittime ormai […] sta tutta nell'affermazione della cosiddetta “civiltà dell’immagine” (che poi tutto sarebbe, secondo costoro, fuorché civiltà), e nella supremazia, che essa ha definitivamente e irrimediabilmente assicurato, di un rapporto diretto, facile, immediato con le cose e le loro rappresentazioni, ben diverso da quella nobile relazione con il mondo intessuta di filtri, fatica, complessità, meditazione quale garantisce (garantiva!) solo l’assidua ed esclusiva consuetudine con la lingua, in particolare con quella scritta» (pp. 23-24). Proseguendo nell'analisi dell'iconofobia, la sua origine è legata al rifiuto delle immagini dinamiche e della partecipazione emotiva che tali immagini richiedono.
Nessun commento:
Posta un commento