domenica 31 luglio 2011

Derrick de Kerckhove su Marshall McLuhan

Sono trascorsi cento anni dalla nascita di McLuhan… mi è capitato di vedere un bel video (http://www.scuoladipolitica.it/web/magazine.aspx?did=544) della presentazione di una antologia degli scritti di McLuhan (Aforismi e profezie, a cura di Marco Pigliacampo, Armando, Roma 2011). L’intervento di de Kerckhove (da 42.11 a 1.03.12 dell’ora e mezza complessiva di video) è stato brillante: McLuhan tra Nietzsche e Pascal, passando per Harry Potter e l’oroscopo come ipertesto….
Tra i libri di casa ho ripreso in mano di Marshall McLuhan e Quentin Fiore, Il Medium è il massaggio. Un inventario di effetti (Feltrinelli, Milano 1968, l’originale è dell’anno precedente). Bel libretto – ho visto che è stato ristampato da Corraini – anche dal punto di vista della grafica…Davvero tante le intuizioni: la scuola (con la differenza tra l’aula scolastica e il nuovo ambiente creato dagli strumenti di comunicazione, p. 18), la televisione e lo schermo (p. 125), l’elettricità come caratteristica del mondo orientale (p. 145), la narrazione: con la televisione “non c’è tempo per la forma narrativa, presa a prestito dalla precedente tecnologia della stampa. Si deve abbandonare il filo narrativo. Fino a tempi recentissimi i “caroselli” venivano considerati semplicemente come una forma imbastardita, come volgare arte popolaresca. E adesso stanno influenzando la letteratura contemporanea” (p. 126).

venerdì 22 luglio 2011

Immagini ed avatar. Una nota su Per una genealogia del virtuale. Dallo specchio a facebook di Maria Maddalena Mapelli

Il tema delle immagini è uno dei temi su cui credo valga la pena lavorare. Maria Maddalena Mapelli, nel suo testo Per una genealogia del virtuale. Dallo specchio a facebook (Mimesis, Milano-Udine 2010) affronta il tema partendo da un approccio filosofico centrato sul tema dello specchio come dispositivo (piuttosto che come tecnologia) ricostruendone lo sviluppo da Platone al Rinascimento (con particolare attenzione al pensiero di Giordano Bruno). Nella prospettiva che mi interessa (quella dell’uso didattico delle immagini) è centrale l’idea di uno specchio (e delle facoltà umane) che si pone all’estremo opposto di una ricezione passiva. In tal senso sono interessanti, oltre le considerazioni sui poteri dell’immagine in quanto tale (pp. 31-32), il legame tra immagine ed identità (p. 63), l’idea di riflessione che va, come in Giordano Bruno (p. 154), intesa non come riflesso meccanico ma come proiezione che rende visibile, intermini cognitivi, nuove forme. I risultati dell’indagine sulla concezione rinascimentale del dispositivo specchio vengono accostati alla dimensione digitale con l’esame della community di blogger Ibridamenti, dell’account di Facebook di Aldo Nove e del sito di Wu Ming. Anche qui, nella prospettiva in cui sto lavorando, quello che mi interessa è, in termini formativi, il rapporto tra avatar e costruzione dell’identità. Se un processo formativo è efficace nella misura in cui contribuisce alla costruzione dell’identità, la scelta dell’immagine del proprio avatar in un blog o in un social network non è un elemento secondario. Le tipologie di avatar (foto di sé, foto di parti di sé, foto di altro) e di nick (mappa a p. 178) potrebbero essere riprese come strumento di analisi nella prospettiva del metodo autobiografico o della gestione di sé all’interno dei social network (mi vengono in mente le osservazioni di Riva…). Come sarebbe ugualmente interessante, riprendendo la narrazione dell’esperimento del blogger utente anonimo (less-avatar) in Ibridamenti (pp.181-189), cogliere le analogie con metodologie di gestione del lavoro di gruppo in presenza (tecniche come quella appunto del rispecchiamento, il ruolo dell’osservatore…): per dirla con Bolter e Grusin c’è una rimediazione tra metodologie in presenza e on line. Capire la differenza ed i vantaggi delle trasposizioni digitali di strumenti e metodi tradizionali rimane un buon campo di indagine…

domenica 17 luglio 2011

Un sentiero per disabili sui Sibillini

Un giorno di vacanza per una camminata in montagna: dal rifugio degli alpini a Forca di Presta (1550 metri) al rifugio Colle Le Cese (due ore e un quarto di cammino all'andata, passando per il grande anello dei Sibillini e altre due ore e un quarto per il ritorno passando per i prati sotto Castelluccio...). Nella parte iniziale del percorso, ed è stata questo l'aspetto interessante, abbiamo seguito il sentiero per disabili: proprio partendo dal rifugio degli alpini è stato allestito un sentiero percorribile anche con la carrozzina. L'inizo del sentiero è ben segnalato con un apposito cartello: http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5947303790/in/set-72157627217053236/ e http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5947305230/in/set-72157627217053236/. Il percorso nel complesso è ben tenuto, anche se in alcuni punti il manto in cemento è saltato facendo emergere pietrume e roccia non ideali per le ruote di una carrozzina:http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5947306482/in/set-72157627217053236/. Al termine del percorso un belvedere, reso accessibile tramite una pedana in legno, http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/5946752959/in/set-72157627217053236/, permette una splendida vista sia verso il monte Vettore sia verso la vallata del Tronto.

venerdì 15 luglio 2011

Scrittura Braille all'orto botanico dell'Università di Firenze

Vista un'ora disposizione prima del treno, ne ho approfittato per visitare l'orto botanico dell'Università di Firenze. Giardini ed orti botanici sono luoghi affascinanti: come i processi formativi si muovono tra naturale e artificiale e questa potrebbe essere (sto pensando ad un libro di Demetrio) una similitudine da sviluppare ulteriormente...

Mi ha colpito la presenza di schede in Braille per i visitatori non vedenti: questa è una delle schede:
http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/sets/72157627155834246/
Per il resto, da persona non esperta, sono rimasto ammirato dagli alberi ad alto fusto ed in particolare da una quercia sughera (nelle Marche che io sappia si conosce un solo esemplare, che mi è sembrato decisamente malmesso, all'Abbazia di Fiastra vicino Macerata). Di grande aiuto la guida di Mario Clauser, Luciano Di Fazio e Paolo Romagnoli, Gli alberi dell'orto botanico, Università di Firenze, Firenze 2005.


sabato 9 luglio 2011

Per A.M. e D.R.: Mc Gonigal/La realtà in gioco

Jane McGonigal, La realtà in gioco. Perché i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo, Apogeo, Milano 2011

Appunti di lettura

1. La rilevanza del fenomeno videoludico
“Il fatto che così tante persone di tutte le età, in tutto il mondo, scelgano di spendere così tanto tempo nei mondi dei giochi è segno di qualcosa di importante, una verità che dobbiamo riconoscere urgentemente. La verità è questa: nella società di oggi, i giochi per computer e i videogiochi soddisfano esigenze umane genuine che il mondo reale attualmente non è in grado di soddisfare. I giochi danno soddisfazioni che la realtà non dà” (p. 5) Questo però non implica una fuga dalla realtà, la prospettiva adottata dalla McGonigal è anzi esattamente opposta. Ad un esame della dimensione emotiva del videogioco (ad esempio il trash-talking, pp. 90 e seguenti), principalmente su base psicologica, e al legame con l’idea di felicità, segue la proposta di portare nel modo più ampio possibile all’interno della vita reale la positività del gioco.

2. Definizione di gioco
Gli elementi che definiscono il gioco sono dati da: obiettivo, regole, sistema di feedback, volontarietà della partecipazione (p. 21). Bella la definizione ripresa da Bernard Suits: “giocare un gioco è il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari” (Bernard Suits in Katie Salen, Eric Zimmerman, Rules of Play: Game Design Fundamentals, MIT Press, Cambridge, 2004). La dimensione del divertente non viene considerata essenziale: riprendendo Raph Coster (A theory of fun for game disegn, Paraglyph Press, Phoenix 2004) “i giochi sono “divertenti” solo finché non li si padroneggia completamente” (p. 73).
Interessanti le osservazioni che individuano le differenze tra gioco tradizionale e gioco digitale: a) il feedback: “Questa varietà e intensità di feedback è la differenza più importante fra i giochi digitali e quelli non digitali” (p. 24). In tal senso va segnalata la nozione di flusso: “un buon gioco digitale si gioca sempre al limite del proprio livello di abilità, sempre sull’orlo del fallimento. Quando si cade, si sente subito il bisogno di ricominciare subito a salire. Questo perché praticamente non esiste nulla di altrettanto coinvolgente quanto questo stato di operare ai limiti estremi della propria abilità – quello che i progettisti dei giochi chiamano flow, il “flusso”. Quando siete in uno stato di flusso, volete rimanerci: sia smettere sia vincere sono esiti altrettanto insoddisfacenti” (p. 25, cfr. anche p. 42 e 44); b) mancata conoscenza iniziale delle regole. Nei giochi digitali “I giocatori all’inizio devono affrontare l’ostacolo di non sapere cosa fare e di non sapere come giocare. Questo tipo di impostazione ambigua è nettamente diversa da quella dei giochi storici, anteriori all’era digitale” (p. 26); c) aspetto più banale: a spazi reali di gioco si sostituiscono ambienti digitali costruiti in una logica “epica” (p. 116).

3. Rapporto gioco, lavoro e felicità
C’è uno stretto rapporto tra gioco e lavoro (pp. 28 e seguenti), e tra gioco e felicità (pp. 37 e seguenti). La felicità sarebbe legata a 1. un lavoro soddisfacente, 2. la speranza di avere successo 3. alla realizzare di una connessione sociale, 4. il desiderare ardentemente il (un?) significato (pp. 52-54).

4. Reale e virtuale nel videogioco: gli ARG
La tesi fondamentale e forse la più interessante della McGonigal è il totale capovolgimento del comune modo con cui vengono relazionati videogioco e virtualità: i videogiochi vanno progettati in modo tale che la dimensione digitale/virtuale incida in maniera significativa nella realtà. Il videogioco non è luogo separato e di rifugio dalla realtà, ma, al contrario, invade e contamina la realtà. La prima osservazione parte dalle potenzialità della virtualità nei videogiochi: “Anche se pensiamo i giochi al computer come esperienze virtuali, ci danno una capacità reale di agire: la possibilità di fare qualcosa che viene percepito come concreto anche perché produce risultati misurabili, e il potere di agire direttamente sul mondo virtuale” (p. 64). In tal senso si stanno affermando nuove tipologie di gioco come i giochi a realtà alternativa (ARG): “I progettisti di giochi stanno sempre più spingendo in là i limiti di quanto un gioco possa influenzare la nostra vita reale, e così il concetto di realtà alternativa diventa sempre più centrale nelle discussioni sul futuro dei giochi” (p. 133), “gli ARG sono giochi che si fanno per ottenere di più dalla vita reale, al contrario dei giochi che si fanno per evaderne” (p. 133). Vengono riportati molteplici esempi, come Chore Wars (p. 127) (url: http://www.chorewars.com/), una gara per accumulare punti digitali facendo al meglio le pulizie di casa, o Bounce, un gioco relativo alla differenza tra generazioni (pp. 188 e seguenti) (per D.R: sarebbe interessante ragionare se può essere adattato ad altri tipi di differenza) o Free Rice (p. 244). Esistono varie tipologie di ARG: ci sono ARG di eventi dal vivo e ARG narrativi “che usano il racconto multimediale – video, testo, fotografie, audio e anche graphic novel – per intrecciare missioni di gioco nel mondo reale con una storia di fantasia interessante” (p. 151).
La conclusione dell’intero libro si incentra su un nuovo rapporto gioco digitale/realtà: “Non possiamo più permetterci di vedere i giochi come qualcosa di distinto dalla vita reale e dal lavoro reale. Non solo è uno spreco delle potenzialità che hanno i giochi di fare realmente del bene – è semplicemente falso. I giochi non ci distraggono dalla vita reale. La riempiono: di emozioni positive, di attività positiva, di esperienze positive e di forze positive. I giochi non ci portano al tramonto della civiltà umana, ma alla sua reinvenzione. La grande sfida per noi oggi, e per il resto del secolo, è integrare meglio i giochi nella vita quotidiana , e adottarli come piattaforma per collaborare nelle nostre iniziative planetarie più importanti. Se ci impegniamo a imbrigliare il potere dei giochi per la felicità reale e per un reale cambiamento, allora una realtà migliore è più che possibile – è probabile “ (p. 366).

5. Dimensione sociale del videogioco
La dimensione sociale è un tratto fondamentale dello sviluppo dei videogiochi: “Questa capacità del gioco di dare dipendenza ci spinge ad avviare interazioni sociali con membri della nostra rete sociale estesa che normalmente escluderemmo dalla nostra vita quotidiana online” (p. 86). Interessanti anche le osservazioni sul videogioco come rimedio alla solitudine (p. 100). McGonigal rinvia a Gentile, Douglas A., Anderson, Craig, A., Yukara, Shintaro et al. “The Effects of Prosocial Video Games on Prosocial Behaviors: Internazional Evidences from Correlation, Longitudinal, and Experimental Studies” in Personality and Social Psichology Bulletin, 35, 2009, pp. 752-63 (p. 123).
Del resto è esplicitamente dichiarato il legame con i giochi cooperativi e il movimento dei New Games degli anni ‘60 (due i principi “Primo, nessuno mai deve restare a scaldare la panchina perché non è abbastanza bravo per giocare. Secondo, il gioco competitivo non deve puntare alla vittoria, ma al giocare più intensamente e più a lungo dell’altra squadra, per divertirsi di più”) (p. 152). Il testo di riferimento è The New Games Book (Duobleday, Garden City, NY, 1976). E comunque un apposito spazio è dato ai giochi di partecipazione sociale (pp. 261 e seguenti) e al gioco come piattaforma di collaborazione (pp. 281 e seguenti).

6. Videogioco, identità e apprendimento
Il legame tra videogioco e costruzione dell’identità è esplicitamente toccato (p. 349, il riferimento è al gioco Evoke). Intrigante il discorso sulla funzione dell’avatar come fonte di feedback, McGonigal rinvia a Fox, Jesse Bailenson, Jeremy N., “Virtual Self-Modeling: The Effects of Vicarious Reinforcement and Identification on Exercise Behaviors”, in Media Psycology, 12, 2009, pp. 1-25 (p. 171). Il videogioco viene visto come ambiente di apprendimento (p. 81), e si segnala come caso esemplare la scuola quest to learn (pp. 135 e seguenti) anche se la stessa Wikipedia viene interpretata in termini ludici (p. 239). Sull’educazione alla creatività (e sto pensando a A.M) viene ricordato Spore (p. 312). Sarebbe interessante ragionare anche sulla similitudine tra lo “stato di servizio” di alcuni giochi e il portfolio (p. 110), bellissima del resto, per quanto riguarda la valutazione, la citazione di Lord Kelvin “se non si può misurare, non si può migliorare” (p. 166).

7. Gioco, dono e nuove forme di economia
Per quanto in alcuni aspetti le osservazioni posano sembrare retoriche, McGonigal invita a "mettere in dubbio la ricchezza materiale come fonte di felicità autentica […] cerchiamo invece di aumentare la nostra ricchezza di esperienze, relazioni ed emozioni positive” (p. 362). In tal senso “dobbiamo smettere di pensare i giochi come puro divertimento d’evasione” in quanto la loro funzione è “fornire emozioni positive reali, esperienze positive reali e connessioni sociali reali in un momento di difficoltà” (p. 361). Riprendendo quest’ultimo riferimento, rinvia ad una specifica tipologia di gioco, quello di previsione (forecasting games) come wordwithoutoil (p. 315). [nota su dono e videogioco p. 88]

8. Sitografia segnalata

Tra le molte segnalazioni (tra cui quella puntuale di tutti i giochi presentati) si distinguono http://realityisbroken.org/ (il sito del libro) e http://www.glsconference.org/2011/ (importante conferenza annuale). Il blog della McGonigal è visionabile al seguente indirizzo http://blog.avantgame.com/.

domenica 3 luglio 2011

Facoltà di scienze della formazione - Università di Firenze

Bell'incontro alla Facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Firenze, il 30 giugno... Ero stato, anni fa, nella vecchia sede e non non avevo mai visto la nuova in via Laura 48.


Queste le foto:
http://www.flickr.com/photos/giovanni_neri/sets/72157626979835931/