venerdì 18 febbraio 2011

Paolo Jedlowski/Racconto come dimora

Paolo Jedlowski, Il racconto come dimora. Heimat e le memorie d’Europa, Bollati Boringhieri, Torino 2009
Appunti di lettura
Provando a sintetizzare i nuclei concettuali in modo molto schematico al punto da sacrificare la ricchezza di quanto letto...

1. Sull’esperienza e sul suo legame con il narrare
Concezione dell’esperienza: “L’esperienza non è semplicemente quello che viviamo: è anche il processo che nella memoria connette i vissuti e li dota di senso. Ha qualcosa di un perdersi e di un ritrovarsi. L’esperienza compresa assomiglia a un tornare presso di sé, e questa comprensione si giova della facoltà di narrare” (p. 5, vedi anche p. 18). In tal senso viene ripresa la posizione di Bruner. Interessanti i riferimenti a Benjamin (p. 18). Bella descrizione della frammentazione dell’esperienza e, successivamente, della necessità di individuare forme di ricomposizione: “l’intera vita quotidiana che tende a configurarsi come una successione ininterrotta di urti, collisioni, eventi la cui sequenza è reversibile e poco necessaria come i colpi dei dadi sul tavolo da gioco. La vita diventa un prestissimo, dove poco o nulla ha tempo e modo di sedimentare. Il vissuto si fa frammentato: differenti momenti giacciono gli uni a fianco degli altri senza che sia possibile (o quanto meno senza che sia facile) collegarli fra loro” (p. 22).

2. Sulla dimensione comunitaria e intersoggettiva del narrare
Importanza della figura del destinatario pp. 30-31 e del capitolo sulle Comunità narrative pp. 32-38. Interessante il riferimento a Esposito: communitas da munus (p. 33) e quindi comunità narrative legate dall’obbligo creato dalla reciprocità del dono. Distinzione tra racconti egemoni e racconti critici p. 36 (contro le visioni ingenue delle comunità narrative). Legame con la sfera pubblica (p. 38 ss). Flussi comunicativi circolari (pp. 59). Inevitabile dimensione intersoggettiva e comunitaria del racconto: “il fatto è che la mia esperienza non è soltanto ciò che io ho vissuto: è quello che ho vissuto con altri […] ogni racconto autobiografico serio si svolge al di là della vita del soggetto che narra” (p. 86). Il racconto è “un riconoscimento della mia singolarità e della contingenza. Ma apre anche a ciò che trascende la mia finitezza” (p. 87).

3. Funzioni del narrare
Funzione di mediazione del mito, dell’immagine e del racconto (p. 69); creazione di ordine: “la narrativa corregge il disordine di ciò che sperimentiamo, attribuendogli forma” (p. 121).

4. Eccesso di racconti ed importanza del silenzio
Molta bella le osservazioni sull'eccesso di racconti (p. 98) e di memorie di lavoro (p. 106).

“All’ eccesso di stimoli a volte bisogna sottrarsi: così nel silenzio, emergono i propri criteri di scelta riguardo ai discorsi o alle immagini che effettivamente ci importano” (p. 99).

5. Cosa implica il racconto
Forme di riflessione, di estraniazione/distanziamento da sè....riferimento a Bateson, il deutero apprendimento (p. 103). Il paradosso del racconto: ciò che è interno diventa esterno “raccontare significa dunque produrre una certa distanza: il racconto che abbiamo narrato esiste ora la di fuori di noi, lo osserviamo e ci osserva” (p. 123).
Narrare e la metafora della tenda (p. 129): il racconto è come una dimora, ma la dimora è una tenda... davvero una bella metafora.

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